domenica 18 novembre 2012
Non è guerra ma legittima difesa. Messi alla prova i governi della primavera araba
Le ragioni di Israele sono sacrosante (sia detto per essere chiari). Duecento razzi nelle ultime settimane, morti, feriti e un milione di civili nei rifugi sono ben più di un atto di guerra.Il
sud di Israele, che neppure è zona contesa, è stato sottoposto a un
continuo martellamento che aveva l’unico obiettivo di fare più male
possibile. I razzi lanciati dalla striscia di Gaza sono frutto di una politica deliberata e criminale del “governo di fatto” di Hamas, forte del sostegno della popolazione palestinese che l’ha votato.I civili di Gaza, scegliendo Hamas e in parte formazioni ancora più estremiste di islamici fondamentalisti, erano consapevoli delle conseguenze del voto
sia sui civili israeliani oltre frontiera, sia sulle proprie famiglie
(esposte non a quelle che malamente vengono definite “rappresaglie”, ma
all’azione o reazione di legittima difesa dello Stato d’Israele).Perfino
uno scrittore da sempre promotore della causa della pace come Abraham
Yehoshua, proprio alla vigilia della controffensiva israeliana ha detto a
Repubblica: “È tempo che Israele riconosca che Gaza è un nemico. E agisca di conseguenza:
smetta di fornire elettricità e far passare cibo. Dichiari
ufficialmente che siamo in uno stato di guerra e agisca di conseguenza”.Non
bastano le azioni mirate per eliminare i capi militari, se poi i razzi
palestinesi continuano a piovere su Beer Sheva, Ofakim, Sderot,
Ashkelon… Il missile finito a mare a Tel Aviv era di fabbricazione
iraniana, sarà pur questo un elemento sul quale riflettere...Yehoshua
non s’intenerisce neppure per la gente di Gaza: “Sta partecipando alla
guerra contro Israele, ha eletto il governo di Hamas che è responsabile
delle sue azioni. Abbiamo ritirato i coloni, siamo andati via, perché continuano a spararci?”. Già, perché. E, soprattutto: ora basta.Poche altre considerazioni. La prima: Israele siamo noi, è Occidente, che significa democrazia, libertà, vita, Israele è il nostro avamposto e baluardo in Medio Oriente.Secondo: l’Egitto e i governi scaturiti dalla primavera araba sono ora messi alla prova, faranno la voce grossa contro Israele
(il premier egiziano visita Gaza e gli israeliani hanno annunciato una
tregua) ma dovranno anche dimostrare di saper garantire la pace
mantenendo un equilibrio che salvaguardi l’assetto regionale.Terzo: i palestinesi sono sempre più divisi tra loro
e questo è uno dei principali ostacoli ad accordi di pace; l’Autorità
palestinese in Cisgiordania dissente dai metodi e dalla politica di
Hamas, e la osteggia.Quarto: l’attacco a Gaza ritarda i tempi di un possibile attacco israeliano all’Iran (che non rinuncia a volersi dotare dell’arma nucleare).Quinto: il premier israeliano Benjamin
Netanyahu si prepara alle elezioni di gennaio mostrando fermezza, e
indipendenza nelle decisioni dall’opinione pubblica internazionale (come dalla rielezione di Barack Obama, non a caso appena avvenuta).Sesto: la controffensiva di Israele offre ai molti attori del conflitto israelo-palestinese la possibilità di rimarcare la propria importanza,
dall’Egitto della fratellanza musulmana di Morsi nel dialogo (e nelle
richieste di aiuto economico) con gli Stati Uniti, fino alla Turchia di
Erdogan che già fa trapelare la disponibilità a svolgere un’opera di
mediazione, da potenza regionale qual è.Come in tutte le guerre israelo-palestinesi, i tempi sono fondamentali.
Più sarà breve ed efficace il conflitto, più grande sarà il vantaggio
politico per Israele e per gli Stati arabi potenzialmente coinvolti. Ma
occorre anche che agli attacchi di Hamas sia messa fine una volta per
tutte di Marco Ventura http://mondo.panorama.it/
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