giovedì 6 dicembre 2012

Il principale ostacolo alla pace? una cinquantina di palazzi in periferia! 

Si discute molto in questi giorni della rivitalizzazione di un vecchio progetto di espansione edilizia ad est di Gerusalemme, in un'area nota come "E1". Trattasi di un vecchio piano esistente dai tempi di Yitzhak Rabin, icona dei pacifisti di tutto il mondo e premio Nobel per la pace, rilanciato in questi giorni dal premier israeliano, all'indomani della decisione scellerata del leader dell'OLP Abu Mazen di recarsi all'ONU per sbriciolare il Trattato di Pace firmato ad Oslo nel 1993. Questa scelta ha avuto molteplici effetti collaterali sgradevoli, come già discusso; uno dei quali appunto è l'accantonamento della disponibilità di pervenire alla soluzione del Problema mediante discussioni bilaterali. Il governo di Gerusalemme già acconsentì nel 2010 a sospendere l'attività edilizia nelle zone contese per dieci lunghi mesi, ma tutto ciò che ottenne dall'altra parte fu un rumoroso silenzio: Ramallah non si degnò mai di sedersi al famoso "tavolo delle trattative", pretendendo una estensione del blocco dell'attività edilizia a pochi giorni dalla moratoria di dieci mesi.Ora, nessuno davvero credeva che la pace sarebbe seguita ad una risoluzione dell'assemblea generale dell'ONU, ottenuta peraltro con il voto decisivo del blocco dei paesi "non allineati". E' commovente l'ingenuità - o la malafede - di alcuni capi di stato e di governo, che ingoiano il rospo di una demolizione degli Accordi di Oslo, e puntano il dito accusatore contro la decisione di costruire una cinquantina di abitazioni ad est di Gerusalemme. Come se questo fosse il reale motivo per cui la pace si allontana anziché avvicinarsi; sorvolando sull'ulteriore delegittimazione dell'ONU, che pretenderebbe con una risoluzione dell'assemblea generale di rovesciare una precedente risoluzione (la 242) del Consiglio di Sicurezza, che consentiva ad Israele di trattenere parte dei territori acquisti dopo la guerra difensiva del 1967.La zona E1 è strategica, dal punto di vista israeliano, perché connette la cittadina di Ma'Aleh Adumin - che nessuno si sogna di abbandonare al suo destino: tutti sono concordi nel ritenerla parte dello stato israeliano, anche mediante scambi di territori con l'Autorità Palestinese. Su questo concorda anche la sinistra israeliana, solitamente poco tenera con il governo - con i quartieri orientali della capitale. Si creerebbe in tal modo un tessuto connettivo, un cordone sanitario che difenderebbe Gerusalemme da eventuali futuri attacchi. L'argomentazione di parte palestinese è che la decisione di edificare nell'area E1 taglierebbe a metà il futuro stato palestinese. Ma ciò è del tutto fuori discussione: una volta saldata Ma'Aleh Adumin a Gerusalemme, l'area ad oriente sarebbe ampia una quindicina di chilometri: un "corridoio" che collega il nord al sud del West Bank, e che è di analoga ampiezza all'area che nel nord di Israele separa il confine palestinese dal Mediterraneo. Eppure nessuno ha mai denunciato che lo stato ebraico è diviso a metà per l'esiguità di questo corridoio di terra.La polemica scoppiata in questi giorni, che consente di mettere in secondo piano la persistente brutalità del regime siriano, responsabile della morte di 43 mila persone, le proteste scoppiate al Cairo dopo l'assunzione dei pieni poteri da parte del presidente Morsi, e la corsa sempre più frenetica all'Atomica iraniana; appare sterile e pretestuosa. Spesso, risulta alimentata proprio da chi, con il proprio voto alle Nazioni Unite, ha avallato la decisione di cancellare la road map del processo di pace delineata dagli Accordi di Oslo, che il presidente dell'OLP ha cestinato pochi giorni fa.http://ilborghesino.blogspot.it/

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