giovedì 24 gennaio 2013
Israele - Lo spettro dell’ingovernabilità
“È
nudo”. A fornire, con tagliente ironia, una fotografia dell’esito di
quelle che dovevano essere le elezioni più scontate della storia
d’Israele è il grande vignettista Michel Kichka di cui Pagine ebraiche
di febbraio attualmente in distribuzione presenta il nuovo libro “Ce
que je n'ai pas dit à mon père” (Seconda generazione. Quello che non ho
detto a mio padre - Dargaud). Ispirandosi alla favola del re
nudo, Kichka ritrae il vincitore annunciato Benjamin Netanyahu, uscito
ridimensionato dalle urne, con l’immagine del suo alleato Avigdor
Lieberman a tentare di nascondere la notizia della sua debolezza. Nel
frattempo i tre leader di centro-sinistra, Shelly Yachimovich del
Labor, Yair Lapid di Yesh Atid e Tzipi Livni di Hatnua, gridano la
verità. A reggere il mantello di Netanyahu, il suo ex pupillo e ora
rivale (ma probabilmente anche indispensabile alleato) Naftali Bennett
di Habayit Hayehudi che svela invece la sua prospettiva “E’ nullo”. A
indicare come, nel fare da puntello a una eventuale coalizione di
destra, rappresenterà un forte condizionamento per Netanyahu. Già
perché mentre sono state scrutinate oltre il 99 per cento delle schede
(risultati complessivi Likud-Beytenu 31 seggi, Yesh Atid 19, Labor 15,
Shas e Habayit Hayehudì 11, United Torah Judaism 7, Hatnua e Meretz 6,
i tre partiti arabi Ta’al, Balad e Hadash 5, 4 e 3, Kadima 2), il
risultato è un sorprendente pareggio. E dietro la notizia che, nel
complesso, le formazioni che vengono considerate di destra (inclusi i
partiti religiosi) e quelle considerate di sinistra (inclusi i partiti
arabi) hanno ottenuto 60 seggi ciascuna, si cela lo spettro
dell’ingovernabilità, che incombe sui tentativi già in corso di formare
alleanze di governo. Un processo che formalmente potrà iniziare
soltanto fra una settimana, quando gli esiti ufficiali verranno
comunicati al presidente Shimon Peres, il quale, salvo ulteriori colpi
di scena, affiderà l’incarico a Netanyahu .Già oggi è tuttavia
possibile tracciare alcuni punti fermi: lo straordinario successo di
Yair Lapid, che è andato oltre ogni aspettativa, l’insuccesso di
Netanyahu, che se nella precedente Knesset poteva contare su 42
parlamentari tra Likud e Beytenu, oggi ne ha soltanto 31,
l’affermazione, anche se meno potente delle aspettative, del punto di
riferimento politico degli insediamenti Habayit Hayehudì.“La mia
previsione è una piattaforma formata da Likud-Beytenu, Yesh Atid e
Habayit Hayehudì, cui eventualmente potrebbe aggiungersi Kadima, e
secondariamente Shas – spiega Sergio Della Pergola, demografo
dell’Università di Gerusalemme – Una coalizione del genere avrebbe i
numeri per governare dal punto di vista aritmetico. La verità è che
questa legge elettorale è oggi drammaticamente inadeguata per un paese
avanzato, con problemi complicati da gestire che richiedono un governo
stabile. Anche se storicamente ricordiamo un’altra situazione simile,
quando nel 1984 Yitzhak Shamir e Simon Peres diedero vita a un governo
di coalzione Labor-Likud, basato su un patto di ‘rotazione’: fu primo
ministro Peres per due anni, poi toccò a Shamir”. La difficoltà di
Netanyahu viene messa in luce dal professore anche sotto un altro punto
di vista “Per arginare l’emorragia dei voti verso Bennett, Bibi ha
presentato candidati ancora più a destra di lui. Per di più,
nell’ambito dei 31 seggi conquistati, solo 20 fanno riferimento al
Likud, gli altri sono di Yisrael Beytenu. E non è escluso che presto o
tardi decidano di dare nuovamente vita a una formazione parlamentare
autonoma, come aveva promesso Lieberman prima delle elezioni”. “Penso
che i più clamorosi sconfitti di questa tornata elettorale siano i
sondaggisti – fa notare il semiologo Ugo Volli – Questo è un segno
dell’incredibile vitalità della democrazia israeliana, che rifiuta di
farsi ingabbiare in schemi precostituiti. Yair Lapid ha condotto una
campagna elettorale un po’ obamiana, vicina alle esigenze di quella
classe media laica e moderna di tipo americano. Il suo grande risultato
rappresenta un’affermazione dei temi sociali ed economici come
interesse forte degli israeliani, a discapito della scelta di
Netanyahu, evidentemente sbagliata da un punto di vista strategico, di
puntare sulla politica estera, e di quella di Tzipi Livni di spendersi
sui negoziati di pace. Emerge però anche una profonda polarizzazione
del paese”.“Ciò che caratterizza queste elezioni in modo
abbastanza trasversale è l’esigenza di andare oltre determinate
rivendicazioni dell’ebraismo haredì. Questo è a mio parere il punto in
comune tra Yair Lapid e Naftali Bennett, i leader usciti vittoriosi
dalle urne: pur nella loro estrema diversità, laico Lapid e datì
Bennett, entrambi hanno fatto un punto della loro offerta politica la
volontà di arruolare nell’esercito anche i haredìm e di ridimensionarne
l’influenza nel paese” il commento della giornalista Anna Momigliano.Nonostante
l’estrema frammentazione del Parlamento un dato emerge in modo
positivo, secondo Sergio Della Pergola: con tutte le sue debolezze, il
sistema israeliano è stato capace di produrre due leader nuovi, giovani
e preparati, al di là di come la si pensi a proposito delle loro idee.
Anche se, denuncia il demografo “dietro al volto fresco di Bennett, si
nascondono candidati con posizioni estremiste e impresentabili,
complice la legge elettorale dalle liste bloccate. Bisognerà vedere se
Bibi dimostrerà di essere un bravo politico, capace di mantenere in
piedi un governo eterogeneo di fronte alla sfide che lo attendono,
prima di tutto una dolorosa legge di bilancio da approvare entro giugno
- conclude - La mia previsione è che questa Knesset non durerà quattro
anni”.Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked .http://www.moked.it/
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