venerdì 25 gennaio 2013
"Lo storico dovrà dedicare una
pagina appropriata alla donna ebrea in questa guerra (…) È grazie a loro che
molte famiglie sono riuscite a superare il terrore di questi giorni...",
scrisse Emmanuel Ringelblum prima di essere eliminato. Wilhelmina “Mina”
Pächter morì nell'ospedale di Theresienstadt il giorno di Kippur del 1944, il
giorno dell'espiazione e del digiuno. Di lei ci resta un ricettario, scritto
nel ghetto/lager insieme ad altre donne, la cui vicenda è raccontata in
Sognavamo di cucinare, LeChâteau Editore. Più che il rocambolesco viaggio che
dalla terra ceca ha condotto quel pacchetto (c'erano anche una fotografia e
alcune lettere) prima in Palestina e finalmente nelle mani del destinatario, la
figlia Anny, in un appartamento in Manhattan East Side, più che le ricette in
sé, austro-ungariche, più o meno o per nulla kosher, a colpire è l'insegnamento
di tutto ciò. Annientate dalla fame, quelle donne resistono, si sforzano di
mantenere un legame con le proprie radici, con i sapori e i colori e i ricordi
dell'infanzia, la famiglia intorno a una tavola, le feste, le usanze. Cucinano
“a parole”, e non soccombono. Vincono perché non perdono l'umanità e, forse, la
speranza. Sopravvivono a una fame per noi inimmaginabile che annulla il passato
e inchioda soltanto all'attimo presente, al subito, non c'è ieri, non c'è
domani. Mina e le sue compagne, con quelle ricette, sconfiggono Amalek.Stefano Jesurum,
giornalista.www.moked.it
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La storia questa sconosciuta
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