Le angosce di Israele
Sono passati più di 24 mesi dall’inizio della cosiddetta “Primavera Araba”,
una concatenazione di rivolte iniziate nel dicembre del 2010 che hanno
portato, nell’arco di breve tempo, alla caduta di regimi al potere da
decenni in Egitto, Tunisina, Libia e Yemen; vi sono poi altri paesi come
il Bahrein dove è tutt’oggi in corso una rivolta significativa da parte
della comunità sciita; la Siria, teatro di una devastante guerra civile
che si protrae ormai da due anni esatti e che non ha ancora portato
alla caduta del regime; vi è poi il Libano, paese già profondamente
diviso al proprio interno, che sta subendo violente ripercussioni
interne legate al conflitto siriano.Mutamenti estremi che hanno repentinamente sconvolto gli equilibri del delicato scacchiere mediorientale,
mettendo a repentaglio trattati, alleanze e accordi tra vari membri
dell’area e generando così un clima di incertezza e preoccupazione, sia
da un punto di vista economico che politico-strategico.Israele è ben consapevole di tutto ciò
in quanto, mentre nel periodo precedente alla “Primavera Araba” l’unico
confine considerato realmente pericoloso era quello con il Libano, oggi
anche quello egiziano e siriano sono diventati fonte di seria
preoccupazione per gli israeliani.Nel Sinai l’esercito
egiziano sembra aver perso il controllo del territorio dove sono oggi
attivi gruppi di jihadisti che hanno stipulato alleanze con bande legate
a tribù beduine locali e non è un caso che Israele abbia costruito a
tempo di record una recinzione di 250 km che dovrebbe servire a
contenere infiltrazioni di immigrati provenienti dall’Africa ma anche di
potenziali jihadisti e il traffico di armi.Sul fronte nord la situazione è invece decisamente allarmante; la guerra in Siria
ha creato una prima spaccatura interna tra i fedelissimi del regime
sciita-alawita di Assad e l’opposizione prevalentemente sunnita ma con
significativa presenza di gruppi jihadisti come Jabhat al-Nusra, secondo
alcuni analisti vicina ad al-Qaeda in Iraq. Le alture del Golan
sembrano ormai fuori dal controllo dell’esercito regolare siriano, come
dimostra il sequestro di 21 osservatori dell’Onu di nazionalità
filippina avvenuto la scorsa settimana da un gruppo di militanti siriani
di opposizione. La situazione sembra talmente preoccupante che il
governo austriaco avrebbe addirittura deciso di riconsiderare la
presenza del proprio contingente.C’è poi il Libano,
Paese dove si è riversato il conflitto siriano e dove sono in corso
scontri tra fazioni sciite legate a Hizbullah, storico alleato di Assad e
milizie sunnite alleate dell’opposizione siriana. Alcune fonti
sostengono inoltre che gruppi jihadisti salafiti si sarebbero insediati
nella zona di Tripoli per dirigere attacchi nei confronti delle milizie
sciite.Se dunque dall’Egitto,
in attesa di ulteriori sviluppi legati alla politica interna egiziana,
la principale preoccupazione per lo stato ebraico risulta essere
l’infiltrazione di potenziali jihadisti, al fronte nord qual è la vera
minaccia per lo stato ebraico? Secondo alcuni analisti, nonostante
l’esercito israeliano abbia recentemente bombardato in territorio
siriano contingenti con carichi di armi diretti a Hizbullah, le milizie
sciite non sarebbero il pericolo più imminente.E’ vero che il “Partito di Dio” potrebbe
riuscire a mettere le mani su armamenti chimici siriani, ammesso che
non lo abbia già fatto, ma una cosa è averli e un’altra è farne uso in
quanto si rischierebbe di scatenare pesanti reazioni non solo israeliane
ma da parte della comunità internazionale. Inoltre un conflitto con
Israele non è affatto conveniente per Hizbullah, in primis a causa degli
enormi investimenti fatti per ricostruire territorio ed infrastrutture
dopo la guerra del 2006 e poi a causa dell’indebolirsi del suo storico
alleato, il regime di Damasco, con la relativa maggior difficoltà nel
ricevere appoggi logistici e militari, per non parlare delle
infiltrazioni jihadiste sunnite in Libano.L’indebolimento dell’esercito siriano nel Golan
e un potenziale ritiro del contingente Onu potrebbero invece portare a
una situazione di anarchia, con relativa escalation visto e considerato
che fazioni di jihadisti di stampo qaedista, già segnalate
dall’intelligence israeliana nei pressi di Jamla, avrebbero tutto
l’interesse sia ad impadronirsi di armi chimiche da utilizzare contro
Israele che ad infiltrarsi in territorio “nemico” per mettere in atto
assalti di vario tipo.http://www.dirittodicritica.com/
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