martedì 9 aprile 2013
In cornice - Il vuoto in
Polonia
Non è ebreo, ma per Miroslaw
Balka la Shoah costituisce un’importante fonte di ispirazione. Quando
me ne parlò per la prima volta, diversi anni fa, mi disse che lo
colpiva in particolare il vuoto lasciato a Varsavia o a Otwacz dove è
nato, da una popolazione che per secoli ha lavorato fianco a fianco ai
suoi antenati ed è poi scomparsa nel nulla. E che nessuno in Polonia
vuole ricordare, sia per antisemitismo sia per sensi di colpa. Le sue
opere trasmettono proprio questo senso di vuoto. Nel 2009-2010 creò una
impressionante installazione nella Turbine Hall, la gigantesca ex-sala
turbine di quella centrale elettrica dove si è trasferita la Tate
Modern di Londra. Costruì un enorme container in metallo che sembrava
legno: i visitatori che vi entravano cadevano improvvisamente in un
buio assoluto, totale, in una specie di buco nero come quello che ha
risucchiato quei milioni di nostri fratelli. Poi si accendevano le luci
e proiettavano le sagome dei visitatori sui lati dell’enorme container,
sagome che sparivano non appena ci si muoveva. La percezione del vuoto
e della precarietà hanno fatto la fortuna di quell’opera, intitolata
“How it is” (“Come è”) in omaggio a una storia di Samuel
Beckett in cui il protagonista racconta della sua vita muovendosi nel
fango. Credo che questo genere di installazioni siano molto più potenti
ed evocative di quelle più ovvie, che talvolta lo stesso Balka
realizza. In altre occasioni, infatti, proietta sui tutti i lati delle
sale un video in cui ripropone senza interruzione di baracche
abbandonate, terreni piatti innevati, alberi spogli. Niente ci dice che
siamo in un lager, eppure è evidente, e infatti il video è stato
realizzato a Majdanek. Non che l’opera non sia toccante, ma preferisco
l’impalpabilità, lo shock emotivo di “How it is”. Perché questo è la
Shoah.Daniele
Liberanome, critico d'arte,http://www.moked.it/
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