mercoledì 3 aprile 2013

Tal Banin, l'israeliano che fa gol ai pregiudizi: ora allena un palestinese

A d Haifa, in Israele, c'era una volta un Tal, di nome e di fatto. Il suo cognome era Banin, gli piaceva da pazzi anticipare i tempi e andare contro i pregiudizi. Senza paura. Titolare a 19 anni della propria nazionale, con cui avrebbe poi giocato sino a tarda età pur senza disputare mai Europei - l'Uefa li ha accolti, pur essendo formalmente uno stato asiatico - o Mondiali.«Un grande rimpianto - dice Tal Banin al Corriere - ma il nostro paese sta crescendo. Ci riusciremo a breve, forse già nel 2014. Un giorno, magari, con me in panchina». Il piccolo grande uomo (poco più di un metro e settanta), che ama sempre guardare avanti, fu il primo israeliano a giocare in serie A. In verità, l'aveva anticipato Ronny Rosenthal, attaccante, che nel 1989 arrivò a Udine. Dove però fu accolto da scritte antisemite su ogni muro della città. Non volevano ebrei in squadra, venne ripudiato ancora prima di scendere in campo. Si inventarono una banale scusa: problemi alla schiena, rispedito a casa.Nel 1997, quando il Brescia, da neopromossa, contattò Banin per proporgli di cambiare la storia, non ebbe dubbi ad accettare: «Perché non dovevo? Ho sempre avuto un'immagine positiva dell'Italia, in quel periodo la serie A era per il calcio come l'Nba per il basket. Per me fu un onore. In tre anni, nessuno mi ha insultato per la mia religione. I gemelli Filippini mi chiamavano terù , secondo loro ero un finto calabrese. Suonano ancora? Li avevo ribattezzati i gemelli Springsteen...». La nostra città lo elesse presto a beniamino, pur in una stagione difficile. Le rondinelle tornarono subito in serie B, ma Tal Banin fu tra i pochi a salvarsi: «Capii presto - ci racconta via Facebook in un italiano ancora eccellente - cosa serviva per conquistare il Rigamonti: correre e uscire con la maglia sudata. Non avevo piedi sopraffini, tuttavia queste qualità non mi sono mai mancate. Scendemmo di categoria, poi nel mio ultimo anno italiano (1999-2000) tornammo in A. Fui squalificato per doping a febbraio: la mia posizione venne poi archiviata, ero innocente. Giocai diverse partite da trequartista prima dell'arrivo a gennaio di Stroppa. L'anno dopo arrivò Baggio in quel ruolo, era giusto tornare a casa».Resta l'orgoglio di aver giocato con uno dei più grandi al mondo: «Andrea Pirlo era un ragazzino all'epoca, condividevamo la stessa posizione in mezzo al campo. Capii subito che era un fenomeno». Non a caso, nella sfida per la maglia numero 8 del «Brescia dei sogni» (si vota fino a mezzanotte), c'è un uomo solo al comando ed è il genietto di Flero. Banin, al momento ottavo, rischia l'eliminazione. L'uomo che guarda avanti, diventato nel frattempo un pimpante 42enne, ora è allenatore al Maccabi Netanya. In porta ha un italiano, Luigi Cennamo, nato a Monaco di Baviera da genitori emigrati lì per lavoro. La maglia numero 7, indossata nella prima stagione da rondinella, è invece sulle spalle di un palestinese. Ali Khatib, primo atleta del suo paese a traslocare dai nemici di sempre, è diventato un caso politico. Tal, anche stavolta, ha abbattuto un'altra barriera: «La sua storia va oltre il calcio, ne sono consapevole. Però io sono un tecnico. Mi è bastato un breve filmato per dare il mio assenso all'acquisto. I calciatori bravi non vanno giudicati per la carta d'identità». Un'altra lezione. Quel Tal non aveva piedi di velluto, ma quando cambia passo non ce n'è per nessuno. 31.3. 2013 (modifica il 2 aprile 2013)http://brescia.corriere.it/

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