di Laura Brazzo 08/05/2013
Milano http://www.mosaico-cem.it/
“Rodi: Terra Italiana”, “Rodi estremo lembo della patria”; Rodi, “è
l’Italia che ritorna in Oriente […] l’Italia oggi ricomincia a Rodi”.
Mario Lago, governatore di Rodi dal 1923 al 1936, era profondamente
convinto di queste parole. Rodi, secondo Lago, era l’inizio della
“riconquista” italiana del Mediterraneo e del Levante – una riconquista
che, a suo avviso, passava anche attraverso l’ebraismo italiano. Anche
per questo Lago fu tra i più convinti promotori e sostenitori della
creazione di quel Collegio rabbinico di Rodi che, inaugurato nel 1928,
ospitò alcune tra le figure più illustri dell’ebraismo italiano
dell’epoca, da Riccardo Pacifici (che diresse il Collegio dal 1932 fino
alla chiusura nel 1938) a David Prato – assertore anch’esso fra gli
altri, della “grandezza” italiana (ed ebraica) nel Mediterraneo. Quando
nel 1929 il re Vittorio Emauele III si recò in visita a Rodi, a
proposito del Collegio rabbinico disse: “sono lieto di vedere
quest’importante centro di cultura ebraica in terra italiana”.Date queste premesse, non è difficile capire l’affetto e la fedeltà
che gli ebrei di Rodi dimostrarono verso l’Italia sin dai primi anni
dell’occupazione, nel 1912. Fino al 1938. Poi con l’applicazione delle
leggi antiebraiche, a Rodi come nel resto del Regno d’Italia,
l’incantesimo si ruppe improvvisamente. E il 5 settembre 1938, il primo
provvedimento legislativo del governo italiano a Rodi, fu proprio quello
di chiudere il Collegio rabbinico.Nel film di Ruggero Gabbai, “Il viaggio più lungo”,
dedicato alla storia della tragica deportazione ad Auschwitz
dell’intera popolazione ebraica di Rodi, l’amarezza, talvolta anche la
rabbia che si percepisce nei ricordi, nelle testimonianze di Sami
Modiano, di Stella Levi, di Alberto Israel, sono l’effetto, in fondo,
di una grande promessa tradita.La Comunità ebraica di Rodi aveva una tradizione secolare che
cominciava dal XV sec., dall’epoca della diaspora dei sefarditi nei
territori dell’Impero ottomano – lungo i Balcani e nel Mediterraneo.
L’arrivo degli italiani, dopo secoli di dominio turco, rappresentò per
gli ebrei una cesura della loro lunga storia a Rodi: significava il
passaggio finalmente ad una nuova era, ad una nuova e moderna civiltà.
La stessa illusione che vissero gli ebrei di Libia nel 1911, quando dopo
la sconfitta dei turchi, festeggiarono l’arrivo degli italiani.Rodi, come il resto delle isole del Dodecaneso, fu presa
dall’esercito italiano nel 1912, ultimo fuoco della guerra italo-turca
del 1911. Nel 1923, in seguito al trattato di Losanna – coda degli
accordi di pace della Prima guerra mondiale – Rodi passò formalmente
sotto le insegne del Regno d’Italia che voleva farne una sorta di
avamposto per la riconquista italiana del Mediterraneo. In questo
ambizioso progetto, gli ebrei e l’ebraismo italiano ricoprivano un ruolo
strategico: come nell’età moderna i mercanti ebrei che partivano dai
porti italiani alla volta dei grandi centri commerciali del Mediterraneo
e del Levante erano stati grandi esportatori di italianità, così in
piena età fascista, i rabbini usciti dal Collegio rabbinico italiano di
Rodi, avrebbero di nuovo reso grande e diffusa nel Mediterraneo, la
lingua e la cultura italiane.Nel 1938, al momento dell’introduzione delle leggi antiebraiche, a
Rodi vivevano più di duemila ebrei su una popolazione complessiva di
quasi 50.000 persone, ci spiega Liliana Picciotto,
autrice insieme a Marcello Pezzetti del film “Il Viaggio più lungo” e
curatrice della ricerca della Fondazione CDEC sui deportati ebrei da
Rodi.“Nel luglio del 1944, dopo che da un anno l’amministrazione
dell’isola era passata nelle mani dei tedeschi, l’intera popolazione
ebraica di Rodi venne arrestata e deportata ad Auschwitz”.“Quella degli ebrei di Rodi, cittadini italiani a tutti gli effetti, è
una storia che è stata spesso trascurata. Nessuno, sino ad ora, né
l’Italia né la Grecia, si è fatto carico del loro ricordo”, osserva
Picciotto.“Oggi finalmente, grazie ad una lunga, complessa ricerca, siamo in
grado di dare con certezza un nome e cognome a ciascuno di essi. Nel
film di Ruggero si ricostruiscono le storie, le atmosfere, le
sensazioni, i momenti più terribili della deportazione; sul sito “I nomi della Shoah italiana” (www.nomidellashoah.it)
– il memoriale digitale che la Fondazione CDEC ha realizzato lo scorso
anno e nel quale sono pubblicati i nomi e i dati anagrafici di tutte le
vittime accertate della deportazione dall’Italia e ora anche da Rodi –
possiamo leggere uno per uno i loro nomi, le date, i luoghi di nascita,
i legami parentali. Ricostruire questi ultimi è stata la parte più
complessa della ricerca, dato che le omonimie, a Rodi, erano una regola.
Per questo immane lavoro sulle famiglie rodiote, devo un ringraziamento
particolare ad Aurelio Ascoli, compagno di viaggio attraverso gli
archivi rodioti, ma soprattutto ad Alberta Bezzan che ha ricomposto, ad
una ad una, le famiglie di ciascuno degli ebrei deportati da Rodi.”Parliamo del sito: qual è la sua particolarità?Il sito è un vero e proprio monumento digitale: la home page, con
l’elenco dei nomi delle vittime che via via si susseguono, è il tributo
della Fondazione CDEC, impegnata da sessant’anni nella ricerca sulla
Shoah, alla memoria di tutti gli ebrei deportati dall’Italia.Fino a pochi giorni fa c’erano soltanto i nomi degli ebrei arrestati
in Italia; da oggi si trovano finalmente anche i 1815 nomi (accertati)
degli ebrei catturati e deportati da Rodi. Ce sono ancora 40 che
dobbiamo verificare; li uniremo agli altri, appena riusciremo ad
accertarli. Gli ebrei rodioti vanno annoverati fra le vittime italiane
della Shoah, non si possono dimenticare. Rodi era italiana, lo è stata
formalmente fino al 1947, e gli ebrei, salvo rarissime eccezioni (una
cinquantina circa di ebrei rodioti erano di nazionalità turca e per
questo non furono deportati), erano cittadini italiani con passaporto
italiano. La presentazione a Milano del film di Ruggero Gabbai, e la
conclusione di questo faticoso lavoro, è una splendida coincidenza! Per
di più, quest’anno ricorre il 70° anniversario dell’inizio delle
deportazioni dall’Italia: bisognava onorare la memoria di queste
migliaia di innocenti.Il sito però oltre che un memoriale, è uno strumento: uno strumento
utile agli studiosi della Shoah, ma anche alle famiglie: ai tanti nipoti
e bisnipoti, ormai, che quasi ogni giorno si rivolgono a noi per
chiederci informazioni (spesso documenti), sui loro cari scomparsi. Sul
sito, che è una versione aggiornata del “Libro della Memoria”, è
possibile svolgere ricerche a partire dai nomi, dall’anno di nascita,
dai luoghi di arresto. Laddove è stato possibile, abbiamo inserito anche
le foto: l’obiettivo, come già avevo spiegato l’anno scorso quando
abbiamo messo online I nomi della Shoah, è quello, ora, di dare anche un
volto alle vittime. Molte delle foto che abbiamo potuto pubblicare
facevano parte dei nostri archivi, altre ci sono arrivate negli ultimi
mesi dai parenti. Finora abbiamo le foto di circa 1000 persone, ne
mancano ancora moltissime. I deportati ebrei dall’Italia e da Rodi, sono
quasi 9000!Il sito, il film… tutto sembra portare a Rodi quest’anno
In realtà, come ho detto, si è trattato di una coincidenza. Marcello
con cui ho scritto “Il viaggio più lungo”, è un amico da sempre; lo
stesso vale per Ruggero. Pensare di scrivere insieme un film sulla
storia degli ebrei di Rodi, sui quali, in modi e sedi diverse, entrambi
stavamo lavorando da tempo, è stata quasi una naturale conseguenza. Per
di più, insieme a Ruggero, al quale oltre che da una lunga amicizia, io
e Marcello siamo legati per la splendida esperienza di “Memoria” – un
film che, a nostro avviso, rimane ancora oggi uno dei più riusciti e
toccanti sulla Shoah italiana.Quanto alla ricerca e ora pubblicazione dei nomi dei deportati ebrei
da Rodi, il processo è stato più lungo. Sin dai tempi del Libro della
Memoria, avevamo a disposizione l’elenco fatto “a memoria” negli anni
’50 da Itzkia Franco. Franco, prima del luglio del 1944 era riuscito a
fuggire in barca a remi da Kos in Turchia, scampando così alla
deportazione. Negli anni ’50, si mise in testa di scrivere un elenco di
tutti gli ebrei di cui ricordava il nome. Li sapeva perché era stato a
lungo presidente della Comunità di Rodi. Lo fece e pubblicò anche un
libriccino. Chiaramente si trattava di un elenco estremamente impreciso e
sommario. Ma era anche l’unico dal quale partire. Mancavano i dati
anagrafici, i luoghi di nascita, le date di nascita; e poi tutti quei
nomi andavano effettivamente verificati sui registri dell’anagrafe. Ci
mancava di fare insomma le verifiche sull’identità di ciascuno, come
avevamo fatto per gli ebrei deportati dall’Italia. Tre anni fa circa,
grazie anche ad un finanziamento della Claims Conference di New York,
finalmente sono potuta tornare negli archivi di Rodi, fare tutte le
ricerche del caso. Ed ora, finalmente, il lavoro è concluso.Gli ebrei rodioti, a questo punto vengono a far parte ufficialmente dell’elenco delle vittime della Shoah italiana.E’ proprio così. Il metodo che sin dagli inizi abbiamo adottato qui
al CDEC è stato quello di considerare vittime della Shoah italiana tutti
gli ebrei arrestati e deportati dai territori italiani, non importa di
quale nazionalità fossero. Sul sito dei nomi della Shoah, come nel Libro
della Memoria, si trovano i dati di ebrei tedeschi, austriaci, russi…
sono tutti accomunati dal fatto di essere stati catturati e deportati
dall’Italia. Ci sono anche i libici, che avevano passaporto inglese e
per questo subirono una sorte diversa: furono deportati a Bergen Belsen e
quasi tutti riuscirono a salvarsi. Il caso dei rodioti è invece in
tutto e per tutto simile a quello degli ebrei italiani: si trovavano in
territorio italiano, Rodi, ed avevano passaporto italiano. Averli
inclusi nel nostro elenco è stata un’operazione essenziale.Oggi a Rodi ci sono ancora ebrei?È rimasta una sola famiglia, che si occupa di mantenere viva la
memoria dell’ebraismo rodiota. Tiene aperta la sinagoga e il museo che
durante l’estate sono molto frequentati dai turisti, soprattutto dai
discendenti degli ebrei rodioti che erano riusciti a fuggire prima del
luglio del 1944, qualche centinaio. Molti di questi andarono a cercare
fortuna in Africa, nell’ex Congo belga, in Rhodesia, in Sudafrica. E lì
vivono ancora oggi molti dei loro figli, nipoti, bisnipoti. Ebrei
rodioti si trovano anche negli Stati Uniti. E’ stato proprio a New York
che più di dieci anni fa ormai, ho conosciuto Stella Levi, sopravvissuta
ad Auschwitz e splendida protagonista del film “Il viaggio più lungo”. A
novant’anni, proprio per questo film, è tornata a Rodi, ci ha portato
nei luoghi della sua giovinezza, ci ha raccontato la sua giovinezza
nella Rodi italiana e l’incredulità che colse tutti quanti nel 1938”.Certo oggi, visitando Rodi, specie la città vecchia, dove un tempo
era riunita larga parte della popolazione ebraica, si viene colti da
un’immensa tristezza: si percepisce chiaramente un vuoto, l’assenza
totale di una parte di popolazione e di una cultura come quella ebraica
che l’aveva animata per lunghissimo tempo.”Tra le tante testimonianze raccolte in questi anni sugli ebrei di Rodi, c’è una in particolare che ti ha colpito?Mi ha colpito il destino incredibile di Jannette Levi. Jannette
faceva parte della Comunità di Rodi. Nel luglio del 1944 i suoi
famigliari – madre, padre, fratelli – furono arrestati e deportati; e
tutti loro erano convinti che Jannette si trovasse sana e salva in
Italia, dove l’italiano di cui si era innamorata a Rodi, l’aveva fatta
fuggire. Ma non era così. Jannette infatti, una volta giunta in Italia
ospite nella casa dei suoceri a Viareggio, venne arrestata e deportata
ad Auschwitz dover arrivò prima ancora che i suoi famigliari ed amici vi
giungessero da Rodi. È una storia terribile, che collega idealmente la
sorte degli ebrei rodioti a quella dell’Italia e degli ebrei italiani.
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