giovedì 9 maggio 2013
È
giusto abbassare gli occhi davanti allo spettacolo magnifico delle
Alpi, soltanto perché sui “segreti brutti” dei partigiani ebrei,
gli editori sfornano libri al ritmo di uno al mese? Non dobbiamo
lasciarci prendere dallo sconforto. Bisogna resistere. Resistere,
resistere, resistere. Bisogna alzare gli occhi verso l’arco alpino
con orgoglio, ribadendo che i nostri padri non salivano sulle Alpi
per poltrire in uno Chalet o flirtare con le ragazze. Proprio Levi ha
lasciato pagine sul valore etico dell’alpinismo, che piacquero a
Massimo Mila. E d’altra parte perché a Mila, a Venturi, a Chabod e
ai partigiani non ebrei non viene mossa l’accusa che oggi si muove
ai giovani ebrei giudicandoli colpevoli di aver deciso di resistere
al nazifascismo negli stessi luoghi dove trascorrevano le loro
vacanze? Perché mai la confidenza con le montagne dovrebbe essere
una colpa? In montagna si era soliti andare, fra l’altro, anche per
ragioni di studio, come faceva il dialettologo Benvenuto Terracini,
di cui ci rimane una testimonianza semi-comica nell’autobiografia
del fratello matematico: “A proposito degli studi di mio fratello
sul dialetto di Usseglio, vorrei ricordare che per convincere a
collaborare alcuni diffidenti montanari, pensava di facilitarli con
l’elogio delle mucche che essi conducevano al pascolo, sintetizzato
nelle parole ‘Oh, che bele vache!’, talvolta seguite dall’invito
rivolto ai montanari ad aprire la bocca e lasciarvi introdurre della
plastilina con la quale registrare più esattamente la pronuncia di
alcune consonanti, secondo quanto intendeva fare Benvenuto reduce da
un corso di fonetica sperimentale tenuto a Parigi dall’abbé
Rousselot”. Le Alpi a tal punto entravano nella vita degli ebrei
piemontesi da ritrovarsele in camera da letto. Sempre nei “Ricordi
di un matematico” (Roma, 1968, pp. 156-157) di Alessandro
Terracini, si descrive un gioco diffuso nelle case ebraiche del
Novecento. In certi piovosi pomeriggi domenicali la camera dei
bambini si trasformava in baita. Dopo avere imbacuccato i figli,
zaino in spalla, si consentiva loro di saltare su e giù dai tavoli e
dalle poltrone, facilitando la salita in cima all’armadio più alto
perché lassù si consumasse, finalmente, il pic-nic.Alberto
Cavaglion http://www.moked.it/
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