Palestinesi al voto (ma solo in tv)
Betlemme
- Ogni settimana i palestinesi votano il loro presidente. Lo fanno via
sms, nell'ovattato mondo televisivo, per finta. In realtà, non vanno
alle urne per cambiare il loro leader dal 2005.
Al Rais, il presidente, è il reality show che appassiona
il pubblico palestinese ricostruendo una politica in stallo. Un gruppo
di giudici - politici, accademici, uomini d'affari - assieme agli
spettatori a casa decide chi, tra i giovani concorrenti, è qualificato
per diventare raìs. «Che sistema economico svilupperesti in un futuro
Stato palestinese?»; «Come salveresti una compagnia in crisi
economica?», hanno chiesto nell'ultima puntata i giudici, tra i quali un
deputato arabo al Parlamento israeliano, Ahmed Tibi, e politici
dell'Autorità nazionale palestinese, come Khoulod Deibes.Il reality show è inziato a marzo. «La nostra storia è la storia di
una leadership fallita», ha detto nello stesso periodo il premier
dimissionario Salam Fayyad al New York Times, per poi negare di aver
pronunciato quelle parole. Con una leadership divisa politicamente e
geograficamente - gli islamisti di Hamas a Gaza e l'Autorità nazionale
di Abu Mazen in Cigiordania - senza una data fissata per elezioni, la
crisi dei vertici politici palestinesi è profonda.Seduto nell'atrio del moderno Centro conferenze di Betlemme, in
Cisgiordania, dove è girata parte del reality, Raed Othman racconta come
è nata l'idea di Al Rais. È il manager di Ma'an, agenzia di stampa e
canale tv indipendente palestinese che produce la serie assieme
all'organizzazione non profit «Search for Common Ground». «È semplice:
non votiamo per un presidente da otto anni», spiega mentre alle sue
spalle i dieci candidati rimasti in gara - nove uomini e una donna - si
preparano a entrare in scena. In 1.200 palestinesi - tra i 25 e 35 anni -
hanno sfidato le telecamere per diventare raìs.Ogni sabato, i giovani, seguiti dagli operatori tv, affrontano una
sfida diversa, di cui poi discutono davanti ai giudici nella puntata
successiva. La settimana scorsa, i candidati hanno lavorato per un
giorno seduti su una poltrona importante: c'è chi è stato sindaco di
Nablus, chi governatore di Hebron, chi amministratore delegato della
società di telecomunicazioni, come Baha'a Al Khatib, 26 anni, nella vita
vera program manager in una compagnia che distribuisce software
didattici online. Baha'a vorrebbe diventare veramente presidente per
«portare avanti un cambiamento reale» che si focalizzi «sul
rafforzamento delle istituzioni, dell'educazione, dei servizi, della
sanità» per costruire uno Stato. Un accordo di pace con Israele? «Certo
che lo firmerei se fossero riconosciuti i diritti dei palestinesi e dei
rifugiati: nessuno vuole uccidere e vedere sangue», dice al Giornale il
candidato che parla già un po' da presidente: «Io sono un uomo di pace».
La notizia del reality è arrivata sui quotidiani israeliani, che
hanno notato come alcuni partecipanti abbiano preso posizioni contro la
violenza nel conflitto con Israele e abbiano piuttosto parlato, come
Baha'a, di «resistenza civile». Secondo il manager di Ma'an, Raed
Othman, la leadership palestinese guarda con attenzione lo show «e
prende appunti». Il messaggio che Raed vorrebbe mandare ai vertici è
riassunto dall'aspirante presidente Baha'a: «C'è una giovane generazione
palestinese che vuole e può portare il cambiamento". Chi potrà parlare
come "ambasciatore" di questa nuova guardia televisiva lo deciderà per
il 25% il pubblico, via sms, e per il 75% i giudici. La finale sarà a
giugno. Intanto, forse suggestionati dalla realtà del piccolo schermo, i
vertici di Hamas e quelli di Fatah, partito del presidente, hanno
dichiarato mercoledì che la data per nuove elezioni potrebbe essere
annunciata entro tre mesi.
Dom, 19/05/2013,http://www.ilgiornale.it -
Al Rais, il presidente, è il reality show che appassiona il pubblico palestinese ricostruendo una politica in stallo. Un gruppo di giudici - politici, accademici, uomini d'affari - assieme agli spettatori a casa decide chi, tra i giovani concorrenti, è qualificato per diventare raìs. «Che sistema economico svilupperesti in un futuro Stato palestinese?»; «Come salveresti una compagnia in crisi economica?», hanno chiesto nell'ultima puntata i giudici, tra i quali un deputato arabo al Parlamento israeliano, Ahmed Tibi, e politici dell'Autorità nazionale palestinese, come Khoulod Deibes.Il reality show è inziato a marzo. «La nostra storia è la storia di una leadership fallita», ha detto nello stesso periodo il premier dimissionario Salam Fayyad al New York Times, per poi negare di aver pronunciato quelle parole. Con una leadership divisa politicamente e geograficamente - gli islamisti di Hamas a Gaza e l'Autorità nazionale di Abu Mazen in Cigiordania - senza una data fissata per elezioni, la crisi dei vertici politici palestinesi è profonda.Seduto nell'atrio del moderno Centro conferenze di Betlemme, in Cisgiordania, dove è girata parte del reality, Raed Othman racconta come è nata l'idea di Al Rais. È il manager di Ma'an, agenzia di stampa e canale tv indipendente palestinese che produce la serie assieme all'organizzazione non profit «Search for Common Ground». «È semplice: non votiamo per un presidente da otto anni», spiega mentre alle sue spalle i dieci candidati rimasti in gara - nove uomini e una donna - si preparano a entrare in scena. In 1.200 palestinesi - tra i 25 e 35 anni - hanno sfidato le telecamere per diventare raìs.Ogni sabato, i giovani, seguiti dagli operatori tv, affrontano una sfida diversa, di cui poi discutono davanti ai giudici nella puntata successiva. La settimana scorsa, i candidati hanno lavorato per un giorno seduti su una poltrona importante: c'è chi è stato sindaco di Nablus, chi governatore di Hebron, chi amministratore delegato della società di telecomunicazioni, come Baha'a Al Khatib, 26 anni, nella vita vera program manager in una compagnia che distribuisce software didattici online. Baha'a vorrebbe diventare veramente presidente per «portare avanti un cambiamento reale» che si focalizzi «sul rafforzamento delle istituzioni, dell'educazione, dei servizi, della sanità» per costruire uno Stato. Un accordo di pace con Israele? «Certo che lo firmerei se fossero riconosciuti i diritti dei palestinesi e dei rifugiati: nessuno vuole uccidere e vedere sangue», dice al Giornale il candidato che parla già un po' da presidente: «Io sono un uomo di pace».
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