mercoledì 15 maggio 2013
Qui Napoli – Diritti degli animali e consumo consapevole
Siamo
sicuri che basti accertarsi del “taglio” perchè un animale sia kasher? O
forse oggi dobbiamo pretendere di più e batterci perché gli animali di
cui ci cibiamo siano quantomeno allevati e macellati attraverso processi
“eticamente compatibili” e “come Dio comanda”? Che la kasherut non sia
una questione relativa solamente al taglio della giugulare è un fatto
forse poco noto. Ma è un dato di fatto che il percorso che porta
l’animale al macello presuppone anche esso delle regole per alleviare la
sofferenza degli animali. Questa è stata una delle riflessioni più
interessanti avanzate durante la presentazione, a Napoli, del numero
della Rassegna Mensile di Israel sul tema “Gli animali e la sofferenza.
La questione della shechità e i diritti dei viventi” a cura di Laura
Quercioli Mincer e Tobia Zevi. La presentazione è stata promossa da
Dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane, Comunità ebraica di Napoli, Università Suor Orsola Benincasa
di Napoli, Associazione di cultura ebraica Hans Jonas, centro
Interuniversitario di ricerca bioetica (C.I.R.B.) di Napoli e Istituto
Nazionale di Bioetica e si è tenuta alla Sala degli Angeli
dell’Università Suor Orsola Benincasa.I vivaci interventi di Luisella Battaglia, rav Scialom Bahbout,
Lorenzo Chieffi, Francesco Lucrezi e Orlando Paciello, moderati da Tobia
Zevi, hanno dato luce a un’interessante proposta avanzata dal professor
Paciello, veterinario, che ha denunciato lo stato terrificante dei
macelli italiani, dove sembra difficile ospitare la macellazione ebraica
secondo quelle norme che hanno come finalità proprio l’alleviamento del
dolore animale, metodo auspicabile anche per le altre macellazioni. A
questo proposito dunque, perché non costruire un “macello virtuoso”, che
abbia quelle caratteristiche in grado di garantire una corretta
macellazione kasher, dall’inizio alla fine, da condividere anche con chi
ebreo non è? E in cosa consiste “un macello virtuoso”? Nel fatto ad
esempio di situarsi non troppo lontano dagli allevamenti, così da
evitare quei viaggi estenuanti nei carri che portano gli animali alla
morte; nel distanziare, attraverso ampi spazi, una macellazione
dall’altra, evitando quindi di far vivere agli animali l’orrore della
morte dei “propri compagni”; nell’accogliere gli animali, esseri viventi
sensibili, entro luoghi che non trasudino di morte, sangue e dolore.
Come suggerisce il noto scrittore Jonathan Safran Foer nel suo libro “Se
niente importa”, citato da Tobia Zevi più volte, bisognerebbe divenire
non tanto dei vegetariani ma, prima di tutto, dei consumatori
consapevoli. Di questa consapevolezza è sicuramente portatrice la
tradizione ebraica che, tra ideali da perseguire e possibili mète da
realizzare in questo mondo, si fa portavoce di un’etica universale da
condividere. Sta a noi poterla concretizzare.Ilana Bahbout, coordinatrice Dec UCEI (14 maggio 2013)http://moked.it/blog/
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