giovedì 27 marzo 2008

Aqaba vista da Eilat

No. 407 - 29.2.08

Il primo kibbutz etiope – a Ghedera!

Adattato da Tamar Rotem, Haaretz
www.haaretz.com

Basta guardare Asanka Darba chinarsi per prendersi gentilmente cura delle piante di sedano e basilico che crescono nel suo orto a Ghedera per capire che nel profondo del cuore lui è ancora un contadino. Darba, un immigrato etiope di circa cinquant'anni, può anche aver lasciato in Etiopia il suo appezzamento ed essersi trasferito in Israele, ma il suo legame con la terra non si è sciolto. “Chi altri può raccogliere un pugno di terra, annusarla e sapere che cosa può piantare nel suo orto?” esclama Yovi Tashome, uno dei membri del kibbutz urbano di Ghedera che sta aiutando Darba a coltivare il suo fazzoletto di terra. Appena arrivato in Israele dall'Etiopia Darba era stato assunto dal commune di Ghedera prima come bidello e poi come giardiniere dei parchi cittadini. Ora che è disoccupato, per la prima volta ha un terreno tutto suo dove coltivare erbe aromatiche e verdure ed è evidente che ne va molto orgoglioso.
L'idea dei giardini comunitari è solo uno dei progetti creati dai membri del kibbutz urbano, un gruppo di giovani, per lo più etiopi. Due anni fa hanno dato vita al “kibbutz urbano” nel quartiere Shapira, dove la maggior parte degli abitanti etiopi di Ghedera (circa 1.700 famiglie) risiede. Oggi fanno parte del kibbutz 11 famiglie, quasi tuttte etiopi. Oltre ad occuparsi di agricoltura, i membri del gruppo sono impegnati in attività socio-educative.
Yovi Tashome, 31 anni, è arrivata in Israele quando aveva 6 anni. Come molti altri figli di immigrati, ha frequentato una scuola religiosa a tempo pieno e ha trascorso gli anni delle superiori in un kibbutz religioso. Yovi descrive come uno shock culturale il passaggio dal rassicurante ambiente esclusivamente etiope della sua infanzia a quello misto e con una forte coscienza di classe del kibbutz. “Quel periodo buio, quando ero una cittadina di terza classe a paragone con i membri del kibbutz e con gli israeliani in generale, ha provocato in me una crisi d'identità”, racconta. Dopo aver completato il servizio militare, Yovi ha lavorato come istruttrice per il Club Escursionisti della Società per la Protezione della Natura Israeliana (SPNI). È stato in quel periodo che ha capito l'importanza di lavorare in quartieri come questi, “per mettere gli abitanti in relazione reciproca e dare loro la senzazione di appartanere a una comunità con l'obiettivo di cambiare veramente le cose”. Così Yovi Tashome ha contattato Nir Katz, la persona responsabile dei club escursionisti etiopi della SPNI , e insieme hanno fondato a Ghedera un primo nucleo, che si è poi sviluppato nel kibbutz urbano. Secondo quanto dice Katz, il kibbutz urbano non è un'associazione economica, ma unisce persone legate da un progetto e da un'idea comuni. “In un mondo alienato noi cerchiamo di creare la nostra società personale”, dice. “L'obiettivo di questa associazione è di promuovere un cambiamento sociate per noi stessi e per l'ambiente in cui viviamo”.
Le famiglie dei membri del kibbutz vivono in appartamenti in affitto che si trovano tutti a pochi passi l'uno dall'altro. Hanno anche deciso di stabilirsi nelle vicinanze del quartiere, e non al suo interno. “Siamo così coinvolti nella vita del quartiere che abbiamo deciso di mantenere una certa distanza dalle sue dinamiche interne”, spiega Tashome. Di solito i membri del kibbutz celebrano insieme le festività ebraiche e insieme organizzano gite nei fine settimana.
Inoltre, sembra proprio che stiano confermando l'antica propensione dei kibbutz a discutere e dibattere questioni concettuali che riguardano innanzi tutto l'identità del gruppo e la sua natura specifica. Proprio in questo periodo, dopo che numerose famiglie hanno chiesto di poter entrar a far parte del gruppo, è in atto un acceso dibattito su questioni come il diritto di voto, l'età minima dei nuovi membri, l'entità del contributo richiesto a ciascuno a favore della comunità, l'accettazione di coppie religiose, ecc. Queste discussioni vengono condotte formalmente in un forum denominato “Beit Hamidrash”, che si riuniche ogni mercoledì.
Oggi sono circa 400 i giovani che traggono beneficio da queste attività. Queste iniziative sono inivitabilmente entrate anche nel campo dell'educazione formale. Tzachi Azaria e Ilana Malek, due membri del kibbutz urbano di Ghedera, trascorrono le loro giornate nel locale liceo per promuovere un programma volto a prevenire l'abbandono scolastico. Un altro programma prevede l'offerta di lezioni aggiuntive che gli insegnanti, alcuni dei quali sono etiopi, danno direttamente a casa dei bambini.
I membri del gruppo sono coinvolti nelle attività socio-educative, o come volontari o come dipendenti stipendiati. Un appartamento è stato trasformato in un club giovanile dove le attività sono modellate su quelle di un gruppo escursionisti. Sono stati creati molti altri gruppi, tra cui uno in cui i genitori possono discutere problemi di famiglia in amharico e un altro per emancipare le ragazzine.

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