domenica 23 marzo 2008

Gerusalemme

Oltre l'odio e la violenza. L'altro volto di Israele

di Luca Meneghel

Israele, anni Quaranta. Due ragazzi – il Pupo e la bimba – sono cresciuti lontani, lui in un kibbutz e lei a Tel Aviv. A unirli, una passione comune: quella per le colombe, prezioso mezzo di comunicazione negli anni in cui Israele corre spedito verso la dichiarazione d’indipendenza. Entrambi, in luoghi diversi, entrano nelle fila della Resistenza e diventano esperti colombofili sotto l’occhio vigile dell’esperto dottor Laufer. Quando per la prima volta il Pupo e la bimba s’incontrano, è amore a prima vista: sul cielo d’Israele, le colombe trasportano veloci indicazioni militari e messaggi d’amore. Sarà la guerra, scoppiata dopo la proclamazione d’indipendenza, a mettere in forse il futuro di un amore nato sulle ali dei piccioni viaggiatori. Israele, giorni nostri. Yair è una guida turistica che porta naturalisti e bird-watchers in giro per il paese. È sposato con Liora, una bella americana incontrata nel corso dei suoi tour: alla passione iniziale è subentrata però la freddezza, complice anche la difficoltà che la coppia incontra nell’avere un figlio.
La madre di Yair, prima di morire, lascia al figlio una somma cospicua con una precisa missione: cercare una casa tranquilla dove ritrovare se stesso, con un balcone affacciato sul panorama e una doccia per potersi lavare in mezzo alla natura. La ricerca della casa, e la sua sistemazione, diventano per Yair un viaggio nel passato e nella propria storia: e chissà che il futuro non sia lì a due passi, in quella donna capomastro conosciuta da fanciullo e ora responsabile dei lavori di ristrutturazione. Due piani temporali, due grandi storie, due insiemi di personaggi che s’intrecciano e si guardano da lontano. Meir Shalev, tra i maggiori esponenti della letteratura israeliana contemporanea, continua con Il ragazzo e la colomba – fresco di stampa per i tipi di Frassinelli, nella traduzione della bravissima Elena Loewenthal – il suo viaggio nella storia, nell’amore e nell’essenza dell’uomo che tanto successo aveva riscosso con il bestseller internazionale La casa delle grandi donne.

Il ragazzo e la colomba, quanto a grandezza, non è certo da meno: nella speranza di vedere Shalev alla Fiera del Libro di Torino (l’autore ha dichiarato che scioglierà la riserva poco prima dell’evento, a seconda dell’andamento delle polemiche e delle indicazioni dell’editore), a questo romanzo è stato riconosciuto in patria il prestigioso premio Brenner. Intervistato dall’italiana Radio Tre, Meir Shalev ha rivelato qualcosa del suo lavoro di scrittore. Alla mattina si alza molto presto e lavora fino a mezzogiorno; dopo la pausa pranzo, il lavoro di scrittura prosegue fino al tardo pomeriggio: risultato, dieci ore di lavoro al giorno. Dieci ore quotidiane da moltiplicare per i tre anni circa di gestazione, comuni a questo e agli altri suoi romanzi: si spiega allora così la perfezione di ogni singolo elemento presente ne Il ragazzo e la colomba, la grazia con la quale i due piani temporali si sfiorano per poi tornare a vivere di vita propria. Si capirà anche la profondità dei personaggi (quella del Pupo, di Yair e della bimba), o la loro delicatezza (il signor Meshullam e il dottor Laufer). Il tutto per comporre un mosaico di rara dolcezza, un mondo fatto semplicemente di parole ma capace di commuovere come se in mezzo ci fossimo proprio noi, in carne e ossa.

Al di là della trama, che è meglio lasciare alla curiosità del lettore, il romanzo di Shalev solleva alcune tematiche fondamentali. Primo: Israele. Complici i mass media piuttosto che l’urgenza degli eventi, siamo abituati a immaginare lo Stato ebraico come a una regione tenuta perennemente in scacco dalla paura, bersaglio dei razzi palestinesi e pronta a rispondere con le armi a ogni provocazione. Di rado viene da pensare che, al di là degli scontri ai confini, Israele è prima di tutto uno Stato normale: questo Shalev lo fa sentire con estrema chiarezza, descrivendo il fascino delle sue città, delle sue valli e delle sue campagne. Quello de Il ragazzo e la colomba è un Israele fiabesco, straniato dallo spazio e dal tempo: dentro ci sono piante meravigliose, fiumi rigogliosi, la moderna Tel Aviv e la seducente Gerusalemme. E in cielo scorrono incessantemente moltissimi uccelli: dai più comuni alle gru, che mandano compagni in avanscoperta per trovare un posto sufficientemente sicuro. Secondo: la guerra. La guerra di Shalev è la guerra che Israele si trova quotidianamente a combattere, contro tutti coloro che negano il suo diritto a esistere. Ma nei personaggi di Shalev non c’è spazio per il rancore, o per il desiderio di vendetta: la guerra è vissuta come parte integrante della vita degli israeliani, e i più giovani vi si accostano con senso del dovere. Tutti sentono di dover fare qualcosa per il proprio paese, e se il Pupo non è bravo a sparare potrà sempre seguire un battaglione con la colombaia in spalla: pronto a lanciare un piccione per avvertire gli altri soldati dei pericoli e delle strategie sul campo. Terzo: la casa. La casa, la sua anima, il suo corpo, la sua ricerca: il tema pervade ogni singola riga di Shalev. È la casa, in fondo, il vero protagonista de Il ragazzo e la colomba: la casa cercata da Yair in mezzo alla natura, piuttosto che un appartamento a Tel Aviv o la colombaia centrale per i piccioni viaggiatori. E poi la casa per eccellenza: Israele, anche se Shalev (da grande autore quale è) non lo suggerire esplicitamente. Israele come terra promessa, certo, ma anche come casa normale per gente comune: una casa sicura dove vivere felici, come la villa fatta ristrutturare da Yair che diventa una metafora di quello che Israele vorrebbe tanto essere. Uno Stato tranquillo, capace di convivere e dialogare con i propri vicini di casa. E gli israeliani, di metafora in metafora, che altro sono se non le colombe? Senza un particolare senso dell’orientamento, ma sempre capaci di ritrovare la strada che porta a casa, verso la colombaia dalla quale sono partite. Quello che gli ebrei, per troppi secoli, hanno cercato di fare fino al miracolo della creazione dello Stato d’Israele: una colombaia centrale aperta a tutti gli ebrei del mondo che dovessero sentire nostalgia di casa.

Oltre le grandi metafore, oltre la commovente storia partorita dalla mente di Shalev, c’è infine lo splendore della sua prosa: fluida e avvolgente, capace di penetrare nelle nostre pieghe più segrete. Una prosa che è riuscita a imbastire la miglior scena di morte in guerra che io ricordi. C’è chi crede che una linea invisibile leghi l’opera e le vite di tre grandi scrittori come Balzac, Dostoevsij e Dickens. Tutti e tre, infatti, hanno raccontato la società dei loro paesi (Francia, Russia e Inghilterra) meglio di quanto abbiano mai fatto saggi e manuali storici sull’Ottocento. Negli uomini di Balzac e Dostevskij, così come in quelli di Dickens, c’è tutto l’Ottocento: quello della borghesia in ascesa e dei poverissimi nelle strade, quello dei sogni e delle illusioni perdute. Qualcosa di simile, oggi, accade con la letteratura israeliana. Qualitativamente tra i migliori al mondo, i romanzieri israeliani trasmettono l’essere ebrei, il sogno d’Israele, il difficile rapporto con i vicini palestinesi e il terrore di una minaccia sempre incombente meglio di qualsiasi saggio o reportage. In questa schiera di storici e sociologi con l’animo da letterati, Meir Shalev occupa una posizione d’assoluto rilievo: Il ragazzo e la colomba è qui per dimostrarlo.

23 Marzo 2008 L’Occidentale

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