domenica 16 marzo 2008

Gerusalemme - King David


I giardini di Israele - Trieste, 19 febbraio 2008

Ho letto con molto interesse l'articolo di Massimo Orbach dell'ultimo numero di Iarchon, riguardo l'apertura alle conversioni dei figli nati da matrimoni misti (con madre non ebrea).
Trovo l'argomento, non solo di grande interesse, ma anche di assoluta attualità, soprattutto in Comunità storiche come quella triestina.
Molti di quelli che leggeranno quest'articolo mi conoscono, o personalmente o attraverso miei articoli precedenti, e sanno quanto laico io sia. Ma in questo caso non è la mia laicità a portarmi a sostenere la tesi di Massimo, bensì un senso di protezione e di affetto nei confronti della nostra Comunità ed in senso più ampio del popolo ebraico.
Di recente sono stato, assieme all'Associazione Italia-Israele, in Heretz Israel (un viaggio organizzato da Chicca Scarabello) dove ho trascorso i 12 giorni più intensi della mia vita. Non era la prima volta che visitavo il paese, ma questo viaggio è stato diverso da quello che avevo fatto nel '93 (all'epoca avevo 16 anni). Questa volta avevo la maturità e la sensibilità per capire, per osservare, per apprendere, ma soprattutto per sentire. Per sentire quel senso di appartenenza, quel senso di familiarità, quella sensazione magica che solo noi Ebrei possiamo provare camminando in Israele. In ogni luogo si respira storia, la nostra storia, e ogni persona che vive in Israele rappresenta quella storia, ma anche il futuro di Israele. Ho camminato nel deserto della Giudea e attraverso il deserto del Neghev, ho provato una sensazione forte che mai dimenticherò, una sensazione di attaccamento e di ritorno alle radici. Ho calpestato la sabbia dove hanno vagato i nostri padri per 40 anni, ma dove pochi decenni fa, un tale di nome Ben Gurion ha dichiarato che "solo chi crede nei miracoli è davvero realista". Oggi quei deserti sono degli enormi giardini a cielo aperto, dove si coltivano vino, olio, grano, ortaggi, fiori, dove pascolano bovini. Oggi quel deserto dove gli Ebrei aspettavano la manna dal cielo si è trasformato, grazie all'ingegno dell'uomo e al suo amore per quella terra. Solo chi ama in modo straordinario una terra ed il suo popolo è in grado di trasformare il deserto in giardino (e ne è dimostrazione il fatto che oltrepassando i confini di Israele, il deserto rimane deserto e i giardini si vedono solo nelle ville degli sceicchi).
Oggi quei giardini e quegli uomini che continuano a coltivarli e ad abitarli rappresentano il nostro presente ed il nostro futuro, sono la testimonianza vivente di come il popolo ebraico trovi la linfa vitale da se stesso, dalla sua volontà e dal suo attaccamento ad Heretz Israel. Oggi quegli uomini lottano ogni giorno contro la siccità della terra, contro la penuria d'acqua e contro gli uomini che invece quella terra non la amano, sia laggiù in Medio Oriente che in giro per il mondo. Oggi quegli uomini rappresentano la nostra prima linea, la nostra avanguardia, rappresentano la speranza che vive dentro di noi, come una fiammella sempre accesa, che un giorno potremmo essere noi o i nostri figli quella avanguardia a difesa della nostra terra e del nostro popolo. Quei giardini vanno difesi, come fossero figli nostri, come fossero parte della nostra famiglia, come fossero la stessa nostra casa. Quei giardini rappresentano il miracolo di cui parlava Ben Gurion, il miracolo della fede dell'uomo che crede, che crede nella sua terra, nelle sue capacità e nella forza del suo popolo. Quei giardini sono la prova tangibile che i miracoli esistono, ma esistono solo se li si vuole davvero.
Se penso a questo miracolo, non posso nemmeno pensare alla possibilità che quei giardini un giorno tornino di nuovo deserto. Eppure la possibilità non è così remota. Il popolo ebraico ha dovuto sempre fare i conti con l'ostilità ed il sospetto degli altri, ha dovuto sopportare esili, privazioni, umiliazioni, distruzioni, persecuzioni,fino alla tragedia della Shoà. Nonostante questo, è sempre riuscito a sopravvivere, ad andare avanti, facendo forza su se stesso, sul suo amore per la Torah e per Heretz Israel, facendo ricorso alla speranza, alla speranza che un giorno loro o i loro figli potessero vivere in pace nella Terra dei Padri. E' questa speranza, questa fiammella che ha fortificato il popolo, che l'ha reso sempre più unito anche nella diaspora, ma sempre proteso con il cuore e con la mente a Gerusalemme. Oggi il popolo ebraico ha la sua terra ed i suoi giardini, prova di questo amore e di quella speranza divenuta realtà. Oggi però il popolo ebraico deve superare una prova ancora più ardua, forse la più ardua di tutte. Deve superare se stesso ed i suoi limiti. Deve superare le rigidità di una tradizione spesso anacronistica, per il bene della sua stessa esistenza. Oggi il popolo ebraico, specialmente quello che vive nella diaspora, deve accettare l'idea che non vive in Israele, ma in paesi a maggioranza non ebraica. E con questo deve convivere. Ma non vuol dire assolutamente che il popolo ebraico si deve assimilare, anzi. Deve lottare per mantenere vive le sue tradizioni, la sua cultura, la sua fede ed il suo messaggio. Deve lottare per rispetto nei confronti dei nostri padri che sono morti nelle camere a gas mentre stringevano i propri figli e vedevano infrangersi il sogno di un ritorno in Heretz Israel. E deve lottare per poter coltivare la speranza, ed insieme alla speranza, anche quei giardini che proprio rappresentano la concretizzazione di un sogno e della sua speranza. Quei giardini hanno bisogno del popolo ebraico proprio come il popolo ebraico ha bisogno di quei giardini.
Ma non ci potranno più essere giardini senza il popolo ebraico e senza popolo ebraico non ci sarà più la speranza e senza la speranza non ci sarà più Israele dove continuare a coltivare giardini.
Il pericolo di estinzione del popolo ebraico e di ri-desertificazione di Israele non deriva dalle folli dichiarazioni di Ahmadinejad o dai missili Qassam che quotidianamente vengono lanciati su Israele. E nemmeno dai rigurgiti di antisemitismo che stiamo vivendo in Europa in questi anni. Il popolo ebraico ha sempre dimostrato nella storia che nessuna persecuzione o guerra o attacco è in grado di distruggerlo. Il popolo ebraico sa difendersi, trova sostegno e forza nella sua unione e nella sua coesione. Il popolo ebraico sa difendersi dagli attacchi esterni. Ma sarà in grado di difendersi da quelli interni? Sarà in grado di superare le sue stesse barriere ed evitare l'estinzione naturale? Dove non è riuscito l'uomo a distruggere un popolo, potrebbe la natura e la miopia.
La miopia dell'uomo e dei nostri Rabbini che non capiscono che il male di oggi non si chiama assimilazione, bensì estinzione naturale. Quando un uomo non ha più figli perde tutto, il futuro e la speranza. Non è l'assimilazione il problema dei nostri giorni, quanto la rigidità di certi Rabbinati che non riescono ad andare oltre le proprie barriere, non riescono a superare l'ostacolo della rigida osservanza del precetto. Ma questa rigidità ci porterà a perdere tutto, popolo, terra e quella speranza che ci ha tenuto in vita per millenni, quella speranza che ci ha regalato quei meravigliosi giardini.
Oggi un Ebreo che vive nella diaspora ha statisticamente una possibilità molto limitata di incontrare una ragazza ebrea da sposare e con cui avere figli ebrei a cui insegnare la nostra cultura e a cui tramandare la speranza. Oggi i matrimoni misti sono all'ordine del giorno, ma non per questo i figli che da queste unioni vengono al mondo non hanno diritto di vivere quella speranza e di coltivare quel sogno meraviglioso che è un bocciolo che spunta tra la sabbia del deserto.

Edoardo

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