lunedì 28 aprile 2008

Gerusalemme

La pazienza della pietra

di Sara Shilo
Traduzione Shulim Vogelmann
Giuntina € 15

Accolto con successo in Israele e vincitore del prestigioso premio Sapir, il romanzo d’esordio di Sara Shilo, “La pazienza della pietra” è uscito in questi giorni in Italia per le edizioni Giuntina.
Il critico letterario Dror Burnstein lo ha definito un “capolavoro della letteratura israeliana” e altri critici considerano il romanzo “un’opera significativa, il cui linguaggio pone al centro della cultura le zone margine di Israele”.
La storia, attraverso il monologo intenso e sofferto dei quattro protagonisti, narra la vita di una famiglia che abita in una cittadina nel nord d’Israele sotto la costante minaccia degli attacchi con i razzi katiuscia.
L’autrice nell’arco di una giornata riprende come in un film, i protagonisti del romanzo, lasciando che ciascuno esprima, con voce propria, le emozioni, i desideri e i sentimenti di gioia, dolore, paura per l’ignoto con i quali la famiglia Dadon si trova a confrontarsi ogni giorno.
Il racconto di Simona Dadon, giovane madre di sei figli rimasta vedova di Massud, considerato il re del falafel, apre il romanzo con straordinaria intensità narrativa e ci conduce attraverso le difficoltà quotidiane di una donna rimasta sola, sospesa fra la struggente nostalgia del marito, le “faccende che non si fermano un attimo”, il lavoro all’asilo per mantenere i figli e il desiderio di lasciarsi andare e morire colpita da un missile: “Chi nel nostro paese riesce a morire per mano degli arabi riceve gli onori di un re”.
Attorno a Simona ruotano i suoi figli: Dudi, Itzik, Koby, Etti e i gemelli Oshri e Haim nati dopo la morte del marito, ai quali ha lasciato credere che Massud, giunto in Israele dal Marocco, sia il nonno e Koby il papà. Perché - dice Simona: “Che diamine di padre è che sta solo su una foto e che ogni anno si va sulla tomba a piangere?”
La complessa situazione politica, l’incertezza per il futuro e la dura realtà quotidiana segnata dalle molte ristrettezze economiche si mescolano alla percezione della morte di Massud che pesa come un macigno nel cuore dei ragazzi Dadon ma che viene vissuta e compresa in modo completamente diverso da ciascuno di loro.
Itzik, adolescente che ha abbandonato la scuola, trascorre il suo tempo insieme a Dudi, il fratello più piccolo. Grazie ad una forza di carattere non comune riesce a trasformare l’amarezza di essere nato diverso dagli altri nella consapevolezza che Dio lo ha creato così per un disegno misterioso e a riversare sul falco Dalila che ha adottato tutto l’amore e la dedizione dei quali si sente ingiustamente privato.
Nel piccolo Dudi emerge in maniera struggente la nostalgia per il padre. Quando al termine di un’impresa riuscita, Itzik gli pone una mano sulla spalla, quella gioia così intensa è subito lacerata dal ricordo del padre: “E’ la cosa più bella del mondo, la sua mano sulla mia spalla. Peccato che poi mi torna sempre in mente papà e mi viene una gran voglia di piangere”.
Koby, il primogenito, da un giorno all’altro si trova ad essere “padre” dei gemellini e capo famiglia”. Inizia a lavorare in una fabbrica nella quale è promosso a responsabile del magazzino e il suo sogno è costruirsi una casa a Rishon dove portare la madre e i piccoli Oshri e Haim: una vita amara e complessa nella quale il giovane Koby si sente solo e abbandonato e forse per trovare il calore e l’appoggio di una famiglia si recherà nel villaggio di Jamil, l’arabo che fa il ragioniere nella fabbrica dove lavora e al quale ha affidato tutti i suoi risparmi. L’iniziale diffidenza nei confronti di Jamil, che lo porta a reagire violentemente al suo rifiuto di restituirgli i soldi, si stempera in un pianto liberatorio quando si accorge che tutti i componenti della famiglia Churi lo accolgono con calore e affetto.
Il racconto di Etti, l’unica figlia della famiglia Dadon, è pervaso dall’ammirazione sconfinata che la bimba continua a provare per il padre della cui morte ancora oggi, dopo sei anni, non riesce a farsi una ragione. “Non era possibile capire come fosse arrivato l’angelo della morte a prendersi mio padre proprio in mezzo al lavoro”.
Attraverso gli occhi di Etti conosciamo Massud, un padre dolce e affettuoso, un lavoratore serio e instancabile che per la dedizione riservata ai suoi clienti si merita di essere ricordato come il re del falafel. (“…Lui non vende mai, ma proprio mai, delle polpette fredde e vecchie”). Ed infine è nell’amore profondo per i gemelli che Etti riesce a sublimare la solitudine trasformandola in un sentimento forte e fecondo.
Scritto con un linguaggio “stridente”, volutamente scorretto per meglio rispecchiare la vita di una cittadina del nord di Israele arretrata sia socialmente che economicamente, il romanzo di Sara Shilo è un intreccio di voci e piani diversi, una riflessione acuta e lacerante sulla sofferenza provocata dalla guerra che l’accurata traduzione di Shulim Vogelmann restituisce al lettore italiano con uno stile scorrevole e fluido.
La pazienza della pietra che sta per diventare la sceneggiatura di un film ad opera del regista Eyal Halfon, è stato molto apprezzato dallo scrittore David Grossman che, dopo aver letto il manoscritto, ha incoraggiato la Shilo a scrivere.
Colpita dal romanzo “Che tu sia per me il coltello” l’autrice, riferendosi al grande autore israeliano, afferma:
“ La sua scrittura mi ha aperto una porta. Ho capito che non potevo fare a meno di scrivere. Mi ha dato il coraggio di andare fino in fondo”.

Giorgia Greco

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