lunedì 2 giugno 2008


Medioriente: il sogno di Mussa

E’ un giorno come tutti gli altri in una base militare israeliana. Siamo in pieno deserto del Negev, una delle zone piu’ aride e inospitali del pianeta, a due passi dalla linea di demarcazione che separa Israele dall’Egitto. Ultimi momenti di relax, prima che parta in perlustrazione una nuova pattuglia. Al comando c’e’ Mussa. Mussa e’ beduino, musulmano, la sua lingua e’ l’arabo, anche se parla perfettamente l’ebraico. Per quanto possa sembrare singolare, sono abbastanza numerosi i beduini che prestano servizio nell’esercito d’Israele. Quella militare, degli abitanti del Negev, e’ una tradizione antica che li ha visti, negli ultimi secoli, prima sotto le bandiere dell’Impero Ottomano, poi sotto quelle della Corona britannica, e infine, a partire dal 1948, con l’uniforme dell’esercito israeliano. Combattenti fieri, coraggiosi, leali, che una volta si spostavano solo con l’inseparabile dromedario e che oggi, invece, usano jeep, armi, attrezzature di uno degli eserciti piu’ moderni e sofisticati del mondo, per sorvegliare, palmo a palmo, la zona di confine con l’Egitto, fra montagne e sentieri di cui conoscono ogni singolo granello di sabbia. “Ogni volta che partiamo in pattugliamento –spiega Mussa- ci portiamo dietro acqua e viveri per star fuori a lungo. Puo’ capitare –spiega- di dover seguire le tracce anche per giorni”. Una fascia di terreno, per alcuni metri di larghezza, a ridosso della rete metallica, viene spianata periodicamente, e arata, in modo che risulti piu’ facile individuare le impronte di un intruso. Quando le individua, Mussa fa fermare la pattuglia, scende dalla jeep, si avvicina per studiare la direzione delle impronte, poi si prepara a seguirle. Giubbotto anti-proiettile, mitra spianato, radio accesa, e la jeep alle spalle che lo segue a passo d’uomo. Soltanto in questo momento, a piedi, e’ come se Mussa tornasse ad essere quel che sono sempre stati i beduini del Negev. Cacciatori instancabili, cercatori infallibili di tracce. Nel nostro caso, la caccia all’uomo dura poco. I suoi due commilitoni, a cui erano stati fatti indossare abiti beduini per inscenare l’operazione, vengono individuati rapidamente e immediatamente circondati e arrestati. “Questo lavoro l’ho imparato da mio padre, e mio padre da mio nonno che aveva servito prima con i turchi e poi con gli inglesi. A 12 anni, fui spedito da solo a seguire le tracce di quelli che ci avevano rubato alcuni cammelli. E li trovai –dice- dopo due giorni di marcia”. Faide, rivalita’ fra tribu’ di beduini, una volta nomadi, che ancora oggi vivono nell’immensa area desertica a cavallo fra Israele, Egitto, Giordania, Iraq, Arabia Saudita. Ma che a causa di frontiere sempre piu’ impenetrabili, –aggiunge- sono ormai clan, tribu’ quasi del tutto separate, senza piu’ alcun rapporto”. Quando gli chiediamo chi tenta di entrare di nascosto in Israele, e perche’, Mussa sorride imbarazzato, fa finta di non capire, si trincera dietro il segreto militare. E’ evidente che non se la sente di tirare in ballo i cugini beduini che vivono dell’altra parte della rete. Ma poi ammette che e’ all’ordine del giorno il traffico di droga, di clandestini africani, di prostitute provenienti dall’Europa dell’est, e qualche volta anche di armi e munizioni. - Quali rapporti avete con i soldati egiziani? “Praticamente nessuno”, risponde, mentre intanto quelli, dall’altra parte della rete, sono impegnati in un’accanitissima partita di calcio. Scene di vita quotidiana, al confine fra due Paesi, Israele ed Egitto, che quasi 30 anni fa hanno firmato un trattato di pace, una pace pero’ rimasta fredda, come la notte che sta per calare nel deserto del Negev. Il pattugliamento e’ terminato. Nessuna infiltrazione. Si ritorna alla base. Dopo 3 giorni ininterrotti di turno, Mussa torna a casa per 24 ore. Come ogni soldato d’Israele, non riconsegna l’arma. E’ tenuto a portarla sempre con se’, pronto ad essere richiamato in servizio in qualsiasi momento. Il viaggio dura un’ora circa. Il suo villaggio, se villaggio si puo’ chiamare, e’ a poca distanza da Dimona, la localita’del Negev in cui sorge l’unica centrale nucleare del Paese, e dove – in gran segreto e fra mille misure di sicurezza- gli scienziati hanno sviluppato la bomba atomica d’Israele. E’ in uno spoglio cubo di cemento, ovviamente abusivo, senza acqua corrente, che vive la famiglia di Mussa, moglie e sei figli, assieme allo zio, sheikh, ossia il capo-tribu’, e al vecchio padre, che non vede l’ora di raccontare per l’ennesima volta la storia di famiglia, una famiglia beduina, come tante in Israele, ormai sedentaria, non piu’ nomade, ma non ancora integrata, orgogliosa del proprio passato, ma anche consapevole di vivere comunque meglio dei propri cugini separati del Sinai egiziano. “Abbiamo i nostri cammelli, le nostre pecore, ma non possiamo coltivare granche’. L’acqua basta a stento per noi e per gli animali. Per irrigare la terra, dobbiamo sperare che piova. Eppure noi siamo leali cittadini, rispettiamo la legge. Malgrado cio’ – dice - lo Stato pretende di essere il proprietario della terra che invece ci appartiene da piu’ di 400 anni. Certo, abbiamo gli ospedali e quasi tutti i nostri bambini, maschi e femmine, ormai vanno a scuola”, interviene lo zio di Mussa. “Alcuni riescono anche ad andare all’Universita’, a diventare dottori, ingegneri, ma poi non tornano piu’ qui al villaggio, dimenticano le nostre tradizioni, le antiche consuetudini. Mussa no, Mussa e’ un uomo speciale, integro, onesto. Tutti noi gli vogliamo un gran bene, siamo orgogliosi di lui”. Segno che qualcosa si e’ rotto nei rapporti fra i 130mila beduini del Negev e lo Stato ebraico, il fatto che da alcuni anni sono sempre meno numerosi quelli che, come Mussa, prestano il proprio servizio nell’esercito israeliano. Tradizionalmente apolitici, alle elezioni sempre piu’ beduini votano per i partiti nazionalisti arabi-israeliani, che rivendicano le terre perdute e pari dignita’, pari opportunita’ con gli altri cittadini dello Stato d’Israele. Sepolta, forse per sempre, l’immagine letteraria, romantica, del beduino nomade, libero, che col suo cammello attraversa il deserto, oggi il sogno e’ quello della modernita’ associata al profondo rispetto delle proprie antiche tradizioni e consuetudini. E’ il sogno di Mussa, che per i propri figli spera in un futuro normale da medici, ingegneri, avvocati, in una bella casa nel Negev, ovviamente con acqua corrente ed energia elettrica. di Marc Innaro http://www.articolo21.info/
(Nelle città beduine, che sono ormai una realtà in Israele, c'è acqua corrente ed elettricità nr)

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