lunedì 14 luglio 2008

Haifa


Un ebreo resta sempre un ebreo - Vicende dell’ebraismo e del messianesimo nella cultura polacca

di L. Quercioli Mincer, Bibliotheca Aretina

Un saggio curato da Laura Quercioli Mincer ricostruisce la storia di un Paese nel quale gli ebrei sono visti ancora oggi con sospetto e con diffidenza
Polonia-ebrei: da sempre un rapporto amore-odio, sfociato, in ultimo, nella tragedia della Shoah, con la maggior parte dei lager non a caso installati appunto in Polonia, dove uno storico humus antisemita permise, molto più che negli altri Paesi dell’Europa orientale in mano ai nazisti, il vero e proprio genocidio della comunità ebraica (tutta la popolazione polacca, peraltro, fu oggetto d’un vero e proprio piano “cambogiano” di sterminio). Ma quale era stato, esattamente, il rapporto tra la nazione polacca e la sua componente israelita nel cruciale periodo tra la fine del Settecento e la seconda metà dell’Ottocento? Un rapporto difficile, ambiguo, tormentato: in ogni caso molto diverso da quelli esistenti in altri Paesi. Un rapporto analizzato ultimamente nel libro a più mani “Un ebreo resta sempre un ebreo”: raccolta di saggi curata da Laura Quercioli Mincer, docente di Storia e cultura ebraica nei Paesi slavi alla “Sapienza” di Roma.
Sono specialmente le vicende del frankismo, il singolare movimento messianico e sincretistico creato da Jakub Frank (1726-1791: proprio nell’ambito d’una ricerca internazionale su Frank, partita dalla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena-Arezzo, è nato questo volume), a rappresentare emblematicamente le difficoltà della dialettica fra ebraismo e “tipo umano polacco”. A lungo, infatti, i frankisti, entrati grazie al battesimo nella nobiltà polacca, pur combattendo nelle insurrezioni nazionali ottocentesche e figurando tra i protagonisti della cultura nazionale, sono guardati con un misto di diffidenza e odio dall’“establishment” cattolico, perché considerati un “cavallo di Troia” dell’ebraismo nel cattolicesimo (oltre ad attirarsi, chiaramente, con la loro apostasia - peraltro più formale e “nicodemica” che sostanziale - l’ostilità degli ex-confratelli ebrei).
Nei quarant’anni di regime comunista, poi, dal 1949 all’ “1989 e dintorni”, il silenzio sul frankismo (così come, del resto, per tutti i temi inerenti l’ebraismo: vedasi anche, in passato, gli studi di Gabriele Nissim sull’antisemitismo di Stato nei regimi dell’Est) è quasi totale. Proprio sulla “metabolizzazione” del frankismo, anzi, rileva la Quercioli Mincer nel suo saggio, si confrontano tuttora, a quasi vent’anni dalla fine del regime comunista, i fautori d’una Polonia multietnica e multireligiosa ovvero, al contrario, d’un Paese “etno-nazionalista, etnicamente e religiosamente uniforme, con unico modello, la figura del “polacco-cattolico”. Quanto poi, più in generale, il rapporto con l’ebraismo continui a risultare difficile per la società polacca, tralasciando fenomeni più eclatanti come le ricorrenti esternazioni antisemite dell’emittente cattolico-conservatrice “Radio Maria”, risulta evidente da episodi meno noti ma altrettanto inquietanti: come la richiesta del ministro della Cultura Roman Giertych, nel luglio 2007 (ancora in piena era dei gemelli Kaczynski), di cancellare dall’elenco delle letture scolastiche sei poeti e scrittori a causa della loro origine israelita, o del sostegno dato alla causa ebraica.
Polonia 2008: una scommessa decisiva, inedita (per la cultura occidentale, troppo spesso, su questi temi, superficiale, distratta o, all’opposto, apocalittica), sul piano della multiculturalità?
di FABRIZIO FEDERICI http://www.shalom.it/

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