lunedì 29 settembre 2008


Salonicco 43» scuote Israele con l'eroismo del console Zamboni

TEL AVIV — «A Salonicco manca qualcosa e questo qualcosa sono i suoi ebrei». Il console Guelfo Zamboni è seduto alla scrivania, la sua prima linea negli anni da diplomatico del regime fascista. Dalla scrivania ricorda, dalla scrivania scrive lettere all'ambasciata ad Atene e al ministero degli Esteri a Roma: chiede di poter proteggere gli ebrei italiani della città greca e, se proprio italiani non sono, di essere autorizzato a fornire certificati di cittadinanza provvisoria.Sul palco — auditorium dell'università di Tel Aviv — la voce concitata di Massimo Wertmuller si intreccia con i canti ladini di Evelina Meghnagi, la battaglia a colpi di carte del console Zamboni con le memorie della comunità di Salonicco (interpretate da Carla Ferraro). «Salonicco 43» (diretto da Ferdinando Ceriani, verrà presentato anche alla Biennale Teatro) racconta di un funzionario che decide di agire contro la furia dei nazisti. «Non credo più all'illusione di molti, che non vedere sia non sapere». Zamboni vede e lo rivela nei sui dispacci diplomatici: dettaglia la brutalità dei tedeschi, quando la città finisce sotto il loro controllo nel 1943, si affanna per organizzare un treno che porti ad Atene cinquecento ebrei. La Gerusalemme dei Balcani — com'era chiamata Salonicco — rivive anche nelle romanze sefardite, adattate dal compositore israeliano Dov Seltzer nel poema sinfonico «L'oro delle ceneri », seconda parte della serata, organizzata dall'Istituto italiano di cultura.I documenti su cui Ceriani ha basato la sceneggiatura sono stati raccolti da Daniel Carpi, docente all'università di Tel Aviv, e l'attenzione sulla vicenda è stata riportata da un libro scritto da Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera, dalla professoressa Alessandra Coppola e dal giornalista greco Jannis Chrisafis. Ferrari e Gian Paolo Cavarai, già ambasciatore ad Atene, hanno lavorato perché il progetto ricordasse il ruolo di Zamboni, che nel 1992 ha ricevuto il titolo di Giusto a Yad Vashem.

Guelfo Zamboni 1897 - 1994
Nasce a Santa Sofia, in Romagna, nel 1897. Nel periodo della Seconda Guerra Mondiale è Console Generale d'Italia a Salonicco, città occupata dalle truppe naziste, che, nel 1941, ospita la più grande comunità (56.000 persone ) di ebrei sefarditi al mondo. Giunto nel febbraio del 1942 a Salonicco, in zona greca occupata dai tedeschi, per alcuni mesi il console riesce ad evitare che gli alleati trattino gli ebrei della città come nei mesi precedenti avevano trattato gli ebrei polacchi e ucraini. Ma agli inizi del 1943 è costretto a limitarsi alla protezione degli ebrei italiani, dopo che Eichmann ha mandato il suo vicario ad Atene per la deportazione della comunità di Salonicco. Zamboni organizza una tradotta che parte da Salonicco nella notte del 15 luglio, consentendo la fuga degli ebrei italiani verso Atene. E fa carte false - letteralmente - affinché sul treno della salvezza salgano anche varie decine di ebrei che italiani non erano affatto, ma a cui il console aveva riconosciuto la cittadinanza con il pretesto di chissà quali legami familiari. Per strapparli alla deportazione, Zamboni scrive numerosissimi telegrammi al Ministero degli Esteri, sveglia nel pieno della notte il capo della rappresentanza italiana e riesce a procurare documenti di identità falsi a 280 ebrei per raggiungere Atene, situata nella zona d'occupazione italiana, permettendo loro di sfuggire al controllo tedesco e quindi alla deportazione. Muore nel 1994 a Roma.Nel 1992 gli viene conferito il titolo di Giusto fra le Nazioni dallo "Yad Vashem" di Gerusalemme. L'operato di Zamboni viene descritto da un suo collaboratore, Lucillo Merci, in un diario ed è stato ripreso da Daniel Carpi, storico israeliano di origini italiane. In un saggio pubblicato dall'Università di Tel Aviv, Carpi ricostruisce, sulla base dei documenti trovati presso “l'Archivio del Consiglio generale d'Italia a Salonicco” della Farnesina, i due anni e mezzo intercorsi tra l'arrivo dei tedeschi nel 1941 e la pressoché totale distruzione della comunità ebraica nel 1943. Circa 300 ebrei greci dovettero la propria salvezza al coraggio di Guelfo Zamboni che ai parenti, finita la guerra, non raccontò mai ciò che aveva fatto in quegli anni. E quando gliene chiedevano conto la schiva risposta era sempre la stessa: «Ho fatto soltanto il mio dovere». Il dovere di saper ascoltare la propria coscienza. Nell'Italia di ieri e in quella di oggi, non è forse un esempio da seguire?
Corriere della Sera (inviatomi dalla Fondazione Giorgio Perlasca)

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