domenica 9 maggio 2010


«Noi per Gerusalemme, dalla parte di Wiesel»

Gli ebrei italiani contro il «documento dei 99» Lo storico Calimani: alle pietre non do alcun peso, alla vita umana e alle idee sì. Poi non sono io a dover dare soluzioni politiche
L' appello Il 16 aprile, Elie Wiesel pubblica un' inserzione su tre giornali (New York Times, Washington Post, Wall Street Journal) «Per Gerusalemme». L' appello scatena molte reazioni (anche «dai 99 intellettuali» israeliani) che contestano a Wiesel di ignorare il problema degli insediamenti MILANO - La Gerusalemme «al di sopra della politica» di Elie Wiesel («per me, per l' ebreo che sono») o quella da «condividere tra i due popoli che ci vivono», rivendicata dai 99 intellettuali della sinistra israeliana. Le pietre del cuore e della religione o quelle scagliate negli scontri di strada. La città ultraterrena (e intoccabile) o la terra da misurare nei negoziati di pace. Alcuni esponenti della comunità ebraica italiana discutono - e per lo più difendono - le parole del premio Nobel, sopravvissuto ad Auschwitz. E nel dialogo a distanza tra la diaspora e Israele, raccontano la loro Gerusalemme (e quello che dovrebbe diventare o rimanere). Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma: «Sono pronto a raccogliere le firme in sostegno a Elie Wiesel. Ognuno di noi prega tre volte al giorno rivolto verso Gerusalemme, che preferisco chiamare Yerushalayim. Nella diaspora esiste un trasporto religioso verso la capitale, ma rispetteremo qualunque decisione dovesse prendere la democrazia israeliana. La questione della città dovrebbe essere il punto finale nei negoziati». Tobia Zevi fa parte dell' assemblea nazionale dei giovani del Partito democratico: «Quella che viene chiamata sinistra ebraica è oggi in difficoltà, il pericolo vissuto da Israele rende più complesso il lavoro di chi è impegnato sul fronte della pace. Lo status di Gerusalemme dev' essere affrontato in termini politici e territoriali, non religiosi. Tra me e Pacifici esiste un perimetro condiviso: vanno spiegate le ragioni dello Stato ebraico, va sancita l' irrinunciabilità alla sua esistenza e va garantita la possibilità di critica alle scelte dei governi israeliani». Roberto Jarach, candidato alle elezioni per il consiglio della comunità milanese con Yes Oui Ken (significa nido in ebraico): «La politica estera non entra nella campagna, il nome della nostra lista non vuole creare connessioni con lo slogan scelto da Barack Obama. Io credo che il valore di Gerusalemme per Israele e per gli ebrei sia maggiore di quello artificiosamente costruito dagli arabi. Quando la stampa o i telegiornali italiani dicono "il governo di Tel Aviv", mi fanno venire la pelle d' oca». Riccardo Calimani, storico dell' ebraismo: «Alle pietre non do alcun peso, alla vita umana e alle idee sì. La pace è il primo obiettivo che bisogna cercare di coltivare in maniera instancabile. Non sono io a dover consigliere soluzioni politiche, ma le premesse da cui parto sono queste». Fiamma Nirenstein, deputata per il Popolo della Libertà, in un editoriale sulla rivista Shalom: «Qualcuno dovrebbe far vedere a Obama un piccolo film sul formicolio di vita ebraica del tutto integrata da decenni. Sono certa che poiché glieli descrivono sempre come "insediamenti" lui si immagina dei recinti, delle colonie chiuse, corpi estranei rispetto a un tessuto antropologicamente e religiosamente diverso». Andrea Jarach, fino al 2008 presidente federazione delle associazioni Italia-Israele: «Sono contrario all' ipotesi di un controllo internazionale su Gerusalemme. Mi baso sulla Storia e su questa storia. Nel 1948, prima della conquista giordana, la parte orientale era sotto dominio britannico. Il 13 aprile un convoglio che trasportava pazienti, medici e infermieri dalla zona occidentale verso l' ospedale Hadassa venne attaccato dagli arabi e sotto gli occhi dei soldati inglesi tutte le 79 persone vennero sterminate. Tra loro, Anna Cassuto, sopravvissuta ad Auschwitz, dove invece era morto il marito». Yasha Reibman, consigliere nella comunità milanese, lista Per Israele: «La maggioranza degli ebrei italiani, fino a otto-nove anni fa, non difendeva Israele, riteneva che non fosse elegante. Adesso è cambiato. Non dobbiamo e non possiamo decidere al posto di Israele, abbiamo il dovere di spiegarne le scelte. Gerusalemme è la capitale di Israele e nella città esiste la libertà di religione. Anche per questo ci auguriamo che resti israeliana». Johanna Arbib, presidente consiglio internazionale del Keren Hayesod: «La lettera di Wiesel è un modo molto diplomatico, elegante e profondo di spiegare al mondo qual è l' importanza di Gerusalemme per il popolo ebraico. Anche se vive nella diaspora, è legittimato a scrivere perché è riconosciuto come rappresentante dello Stato ebraico. Ed è legittimato perché il suo non è un parere personale: ha offerto la definizione dello status di Gerusalemme secondo la religione ebraica e spiegando la presenza storica degli ebrei in questa città». Emanuele Fiano, deputato del Partito democratico: «Sul piano sentimentale, capisco Wiesel. Mio padre Nedo, sopravvissuto ad Auschwitz, quando scende dall' aereo in Israele, si inginocchia e bacia la terra. Io ho un amore sconfinato per il Paese, ma evito un rapporto irrazionale, voglio mantenere il mio diritto di critica all' operato dei governi israeliani. Il percorso della pace richiederà rinunce e compromessi, anche su Gerusalemme». Giuseppe Piperno, presidente dell' Unione Giovani ebrei d' Italia: «Gerusalemme è la capitale unica e indivisibile dello Stato ebraico. Nella comunità esistono opinioni diverse nei confronti dei governi israeliani, ma credo che sulla città la posizione sia unanime». Victor Magiar, tra i fondatori del Gruppo Martin Buber - Ebrei per la pace: «La Gerusalemme di Wiesel è quella del nostro cuore, ma noi abbiamo bisogno di scelte realistiche ed è realistico pensare che ci dovrà essere un compromesso ragionevole. Ero bambino nel 1963, in Libia, e ricordo molto bene le parole di Gamal Abdel Nasser: "Possiamo perdere cento guerre, ci basta vincere l' ultima" e "Abbiamo le nostre donne, li sommergeremo con i nostri figli". Se Israele non si sbriga a trovare la pace, pur non perdendo militarmente, rischia di sparire sommersa dalla demografia». Davide Frattini RIPRODUZIONE RISERVATA Posizioni Riccardo Pacifici «Preghiamo tre volte al giorno rivolti verso Gerusalemme» Roberto Jarach Il valore della città è maggiore per Israele e per gli ebrei Tobia Zevi Lo status di Gerusalemme dev' essere affrontato in termini politici, non religiosi Johanna Arbib Quella di Wiesel non è un' opinione personale, rappresenta tutto il popolo ebraico.Frattini Davide,1 maggio 2010) - Corriere della Sera

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