mercoledì 8 settembre 2010


Mantova, Festivaletteratura: ritratto di Amos Oz, ospite d’onore

(ANSA) - ”La verità è che la politica, la storia in Israele non è qualcosa che si vede nello schermo della tv, ma è penetrata nell’intimo della vita di ognuno. Si sente gente che dice: mi sono sposata durante la visita di Saddam, o mio figlio è nato il secondo giorno della guerra in Libano”, afferma Amos Oz, forse il più importante degli scrittori israeliani d’oggi, cui il Festivaletterature di Mantova (8-12 settembre) dedica la sua Retrospettiva: tre incontri per ripercorrere la sua opera. Lo scrittore è anche il vincitore della prima edizione del Premio Salone Internazionale del Libro di Torino che gli sara’ consegnato domenica 7 novembre ad Alba (Cn).Amos Oz aggiunge subito che ”Per quanto possa essere drammatica la situazione politica, ciò non toglie che vi sia un uomo col cuore spezzato perché ha perso il lavoro o una donna che soffre davvero perché la sorella è più bella e ha più successo. Senza tener conto che è palesemente assurdo pensare che un autore ceceno, africano o israeliano debba scrivere per forza di politica, e mai di centri commerciali o di problemi di gelosia”.Il fatto comunque è che anche scrivendo magari di shopping o gelosia, Oz fa intravedere e emergere la situazione del suo paese, in guerra da anni, e la memoria tragica del suo popolo. Che poi il sentimento della tragedia sia per quest’uomo personale e storico-sociale assieme è una pura coincidenza e si lega al fatto che sua madre si è uccisa nel 1952, quando lui aveva 13 anni. Forse non è un caso che, al posto del suo cognome originale, Klausner, scrivendo abbia scelto come pseudonimo Oz, che in ebraico vuol dire ‘forza’. La sua vicenda personale e della sua famiglia di immigrati dall’Europa della prima generazione l’ha raccontata otto anni fa in Una storia di amore e di tenebra, che è forse il suo capolavoro a fianco dello scavo psicologico di Michael mio. Ancora una volta appunto il dramma, o la commedia famigliare sono protagonisti, ma lo sfondo e la commistione con la storia tanto forte del suo paese è piu’ naturale che inevitabile.Nato a Gerusalemme il 4 maggio 1939, a 15 anni si ribella alla famiglia e al padre di destra e va a lavorare nel Kibbutz Hulda, dove rimane per trent’anni allontanandosene solo per gli studi universitari e come riservista dell’esercito, quando partecipa alla Guerra dei Sei Giorni del 1967 e a quella del Yom Kippur dell’ottobre 1973. Nel 1986 lascia il kibbutz per la cittadina di Arad, dove continua a scrivere e a insegnare Letteratura all’Universita’ Ben Gurion del Negev, e dove vive tuttora.A Mantova i tre incontri dividono in tre la sua produzione: Storie di sè, Storie di coppia e Storie del villaggio.I libri che gli hanno dato immediata fama sono Conoscere una donna, Lo stesso mare, La scatola nera, per citare i primi, mentre più recenti sono La vita fa rima con la morte e Scene dalla vita di un villaggio, con quella simbolica ossessione di un vecchio che sente scavare ogni notte nella sua cantina e teme per le fondamenta della sua casa. ”Non è un’allegoria di Israele o del sionismo. Non spreco un romanzo per parlare di politica. Anche se, persino se compie un gesto semplice, come quando si apre una finestra, in realtà puo’ apparire un’azione anche simbolica. Ecco perché non faccio distinzioni tra realta’ e simbolo”.Ultimo uscito è Una pantera in cantina, edito da Feltrinelli come tutti i suoi libri (pp. 160 - 7,50 euro). Si svolge a Gerusalemme nel 1947, mentre gli eventi storici incalzano. Un ragazzino ebreo di dodici anni vive un momento estremamente significativo della sua vita e lo racconta diventato adulto: è la sua storia di crescita e di scoperta dell’altro, diventando un piccolo ‘traditore’ ebreo per aver fatto amicizia con un militare britannico in Palestina, dove i suoi combattono per la nascita di Israele contro il dominio inglese.La verità è che Oz non vive secondo schemi e non si è mai tirato indietro ed è da sempre impegnato in nome della pace: ”Penso sia possibile quella che chiamo una soluzione cechoviana, arrivare a un punto finale in cui tutti sono delusi, amareggiati, ma sono vivi e chiudono i conti gli uni con gli altri. Quando questo potra’ accadere non lo so. Non azzardo ipotesi, c’e troppa concorrenza per mettersi a fare il profeta nella terra dei profeti”. Cosi’ semmai parla di sogni: ”Sono sempre stato convinto che i sogni sono tutto e da loro nasce la realtà. Cosi’ come il nostro deserto macchiato di verde è frutto di un sogno, anche questa pace di cui parliamo tanto è un sogno. Per questo che io credo in loro profondamente”.Martedì 7 Settembre 2010, http://blog.panorama.it/

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