giovedì 13 gennaio 2011
Leggendaria e le Donne delle Scritture
"Donne nelle Scritture" curato da Matilde Passa e Bia Sarasini.
Sara, Rebecca, Rachele e Lea,la Matriarche, quattro donne, quattro protagoniste dell’elevazione del popolo ebraico. Mogli di Abramo, Isacco, Giacobbe. Tre patriarchi per quattro donne perché Rachele e Lea erano sorelle e questa sorellanza, intessuta di rivalità nelle Scritture, trova nella storia dell’interpretazione ebraica, nei midrash, nella tradizione rabbinica, tante aggiunte da consentire di trasformarla in un rapporto esemplare, di amore e solidarietà. Un esempio di quanto il mondo dell’ebraismo sia capace di ricreare in continuazione la sua storia è il libro “Le Matriarche” di Catherine Chalier, splendidamente tradotto da Orietta Ombrosi che, nella sua nota, arricchisce di profondità un testo già denso di suo. Allieva di Emanuel Lévinas, il filosofo cui appartiene l’idea che “l’etica non è il semplice corollario del religioso, ma è, di per sé, l’elemento nel quale la trascendenza religiosa riceve il suo senso originale”, Chalier rintraccia nei comportamenti delle matriarche un’essenza del femminile che, come dice Lévinas nell’introduzione, “si spinge più in alto” nel senso di “non esistere più in sé, ma essere per l’altro, volere la giustizia –anzitutto il diritto del prossimo – che è amore”.Indagando nelle vicende di queste donne così complesse, pronte al sacrificio di sé (si veda Sara che rischia di diventare la favorita del faraone per salvare il marito Abramo) ma anche al sotterfugio per imporre la propria volontà (pensiamo a Rachele che inganna il morente Isacco per far benedire Giacobbe al posto di Esaù), attraversando i tanti modi in cui queste storie sono state raccontate nei secoli, Chalier ne estrae una visione talmente salvifica del femminile da lasciarci un compito esaltante ma certamente molto impegnativo: “Sarebbe quindi necessario che il posto di Sara, la giusta, non resti vuoto. A rischio di vedere la vita mortalmente minacciata dal solo dominio della legge della forza cieca, dell’affermazione bruta dell’essere insensibile al rispetto dell’altro e dei suoi diritti. Come se, qualora venisse a mancare uno di questi giusti – di coloro che sanno di essere legati ad altri prima ancora che a se stessi, a lui consacrati – il mondo non potesse che abbandonarsi al culto idolatra della potenza come fine in sé, a quell’abominio che è la beatificazione della legge di natura”.Matilde Passa,http://www.moked.it/
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