martedì 26 aprile 2011



Ebrei di Cochin, India

Non basta la rabbia per costruire la democrazia
Di Ray Hanania http://www.israele.net/
Quando ho espresso per la prima volta la preoccupazione che i dimostranti in Egitto avessero bisogno di un supporto per realizzare la democrazia, sono stato immediatamente messo alla gogna da critici che mi accusavano d’essere ingiusto. I dimostranti non fanno altro che invocare la libertà, mi insolentivano: come se discutere in qualche modo i fatti sia di per sé immorale o, come dicono gli arabi, “haram” (proibito). In realtà mi sono limitato a scrivere che le popolazioni del mondo arabo non hanno alcuna esperienza di democrazia: sono state cresciute in ambienti repressivi, dove la libertà di pensiero ed espressione viene soffocata e punita. E mi domandavo come queste popolazioni possano conseguire da sole una democrazia autentica. I tiranni mediorientali perseguono, imprigionano o uccidono rapidamente e regolarmente chiunque critichi i loro governi. La critica al governo è la base fondamentale della libertà di parola che vige in una vera democrazia. La repressione nei regimi arabi, invece, è sempre stata così assidua da diventare routine, tanto che non fa più notizia. L’unica libertà di parola tollerata dalle dittature del Medio Oriente è sempre stata quella di criticare l’occidente, il mondo cristiano e Israele. Più di recente, con l’affermarsi di emittenti più aperte come al-Jazeera, i mass-media hanno iniziato a criticare gli altri paesi arabi, ma mai quello in cui si trovano. La tv satellitare al-Jazeera ha sede nel Qatar, mentre al-Arabiyya fa base nel Dubai ed è in parte di proprietà di una società saudita.
I dimostranti non hanno alcuna esperienza di democrazia, e tuttavia il mondo è rimasto a guardare a bocca aperta coltivando enormi aspettative, nella speranza che la democrazia si producesse per miracolo. Ma come ci si può aspettare che la democrazia venga realizzata da popolazioni che non ne hanno mai avuto alcuna esperienza? E che gli sforzi per la democrazia possano almeno sopravvivere? La democrazia in Medio Oriente corre il rischio di fallire più che in qualunque altra parte del mondo. L’America sta tentando di realizzare una democrazia in Iraq sin da quando ha invaso quel paese nel marzo 2003, e non ci è riuscita. L’Iraq ha un “governo”, ma non è una democrazia dove i cittadini possano decidere della propria leadership. I leader in Iraq vengono selezionati dagli Stati Uniti. Dunque, come ci si può aspettare che in Egitto la democrazia compaia tutt’a un tratto, seppure dopo un’ondata di proteste che ha portato alla rimozione di un dittatore come l’ex presidente Hosni Mubarak? Gli arabi vivono in un mondo immaginario dominato dal minimo comun denominatore della pressione fanatica esercitata dal gruppo. Se ad esempio ti esprimi a favore di una pace con Israele basata sul compromesso, vieni denigrato e insultato come “disfattista” da parte dei fanatici, che sono minoritari nella comunità araba, ma hanno la voce più forte. Le voci di maggioranza, che sono moderate, non sono abituate ad esprimere la loro opinione e se ne stanno zitte. I fanatici utilizzano la democrazia in occidente per dare voce all’odio e sostenere l’estremismo in Medio Oriente. Questo è il motivo per cui i fanatici promuovono se stessi molto meglio dei moderati. La conseguenza è che le voci dell’estremismo appaiono come quelle della maggioranza, anche se non lo sono, giacché in Medio Oriente la percezione equivale alla realtà. In Egitto i dimostranti hanno rovesciato Mubarak, un tiranno che, stando ai giornali, aveva accumulato ricchezze a miliardi. Ma quegli stessi dimostranti hanno rovesciato anche l’atteggiamento mentale prodotto da un’intera vita di sopraffazione e negazione della libertà? Mubarak sarà sostituito dalla volontà popolare o semplicemente da una nuova e più astuta dittatura? Troppo spesso, in Medio Oriente, la violenza diventa il principale mezzo con cui la gente reagisce a ciò che non le aggrada. Se dici qualcosa che non piace agli estremisti, anziché intavolare un dibattito sui mass-media del posto, gli estremisti cercano di zittirti con l’intimidazione (come spesso cercano di fare con me, senza successo), o più semplicemente di ammazzarti, come hanno fatto con Juliano Mer-Khamis, l’attore la cui madre ebrea si batteva per i diritti dei palestinesi e il padre palestinese aveva insegnato la coesistenza pacifica. Ora naturalmente guardiamo all’era post-Mubarak di trasformazione dalla tirannia. Ma è una trasformazione verso la democrazia? La settimana scorsa la giunta militare che ha preso le redini del potere in Egitto ha arrestato un blogger egiziano, mentre il futuro del vero criminale, Mubarak, resta un punto interrogativo. E intanto gli è stato permesso di esprimere la sua opinione, di condannare chi lo critica e promettere che trascinerà in giudizio chiunque lo definisca corrotto. Quello che non ha la popolazione egiziana è proprio ciò di cui ha più bisogno. Non solo deve rovesciare un dittatore, ma deve anche essere capace di sostituirlo con una vera democrazia dove sia permesso ad ogni voce di parlare liberamente di qualunque argomento. Deve esserci tolleranza per la libertà di parola. La libertà di parola in un contesto di intolleranza non è affatto libertà di parola. E non si tradurrà in democrazia. Quello che mi auguro è una vera democrazia in Egitto e in tutto il Medio Oriente. (Da: Jerusalem Post, 19.4.11)

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