venerdì 13 maggio 2011



A colloquio con Benedetto XVI

Durante l’ultima tappa della visita pastorale di domenica a Venezia, Papa Benedetto XVI ha incontrato il mondo della cultura, dell’arte e dell’economia nella Basilica della Salute. Tra questi era presente Amos Luzzatto, presidente della Comunità Ebraica di Venezia, in principio non invitato, sembra per un disguido di segreteria e poi unico citato con nome e cognome nel discorso ufficiale del Pontefice. Su questo gesto e sull’incontro privato successivo all’evento pubblico ne abbiamo parlato con il diretto interessato. Amos come consideri il gesto del pontefice? Di riparazione per il mancato invito ufficiale? Sono sempre stato del parere che la miglior diplomazia è la sincerità, che il fatto di scegliere frasi e concetti politically correct non sia la maniera migliore di stabilire rapporti con un possibile interlocutore. Se si sorvola su qualche uscita scomoda tale gesto potrebbe essere interpretato come un arrendersi alle altrui opinioni. Durante la mia presidenza UCEI a Roma ebbi un incontro pubblico con padre Norbert Hofmann braccio destro del cardinale Kasper, presidente della Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l'ebraismo. Hofmann sostenne la tesi, abbastanza comune in ambiente cattolico, che il regime nazista fosse sostanzialmente un regime contro la chiesa cattolica e che il suo obiettivo principale fosse quello di demolire la chiesa cattolica per sostituire ad essa una chiesa nazista, il sacrificio degli ebrei e delle altre minoranze coinvolte sarebbe stato un terribile passaggio di questo piano. Questo era uno dei tanti modi per trasformare il silenzio prolungato della chiesa cattolica sulla Shoah, in un atto di prudenza, smarcandosi così da possibili critiche. Mi sentii quindi di obiettare con una domanda: dopo quasi venti secoli di evangelizzazione dell’Europa com’è possibile che un regime nemico della chiesa abbia potuto affermarsi e trascinare l’opinione pubblica di quasi tutti i paesi europei? Non mi risulta che ci siano state opposizioni di massa in Polonia, Francia, Belgio, Austria o Ungheria, paesi cattolici alleati di Hitler. Se il regime nazista è riuscito a galvanizzare a tal punto l’opinione pubblica allora forse qualcosa non ha funzionato nel messaggio propugnato dalla chiesa. A tale quesito Hofmann non ha saputo rispondere. Quindi è tua opinione che non ci sia stato nessun disguido nel mancato invio dell’invito? Quando in tali occasioni un invito non viene mandato ci sono a monte motivi studiati e ragionati, può esserci dimenticanza per un invito a cena non per un evento pubblico di tale portata. Se mi si chiede il motivo del mancato invito sinceramente non lo so. Può essere che sia stato per le mie dichiarazioni, alla vigilia della visita, sulla politica del vaticano e nello specifico sull’insegnamento della religione cattolica. Una problematica su cui non si fa sufficientemente attenzione. Se avevi queste riserve come mai allora hai accettato l’invito quando ti è stato recapitato in ritardo? Gli inviti si devono accettare sempre. Monsignor Beniamino Pizziol, nominato dal Papa poche settimane fa vescovo di Vicenza, è venuto personalmente a casa mia domandando scusa per il disguido e fermandosi a conversare con me per almeno mezz’ora. Mi è stato fatto intendere che non fosse un semplice problema d’ufficio. Evidentemente ci sono due tendenze nella chiesa cattolica veneziana: come il non invito aveva un peso politico, l’invito portato dal mio amico Pizziol rappresenta le istanze di coloro che sono impegnati quotidianamente nel dialogo interreligioso e che si spendono perché esso venga mantenuto. Di più non posso dire, non c’è dubbio che, nonostante l’incontro con il Pontefice, persistano le mie riserve su alcune sue prese di posizione, come la ferma volontà di portare avanti il processo di beatificazione di Pio XII in merito alla quale mi sono già espresso negativamente in passato. Nel suo ultimo libro, dove è narrata la seconda parte della vita di Gesù di Nazareth, Papa Benedetto XVI ha tentato però di dissipare la millenaria accusa di deicidio che grava da duemila anni sugli ebrei. Non c’è dubbio che affermarlo su carta ha di certo un valore e che tale gesto lasci intravedere qualche spiraglio positivo. Il Papa, nella veste di intellettuale e ricercatore, tenta di rimediare ad alcuni arroccamenti della Chiesa attraverso la letteratura, malgrado ciò questo riconoscimento è parziale e non privo di ulteriori criticità. Il travaglio della chiesa cattolica in merito a questo tema è palese e questo Papa, cerca una via, di certo apprezzabile, ma indolore per venirne fuori. Credi però che si possa instaurare un rapporto di dialogo costruttivo? Benedetto XVI è un Papa intellettuale e come tutti gli intellettuali quando scrivono e producono qualche opera documentata si espongono inevitabilmente a possibili osservazioni o critiche. Anche a me succede, quando scrivo, di ricevere critiche proprio perché il testo scritto “fa testo”. Il fatto però che ci siano punti di vista necessariamente diversi non implica che si sia schierati su fronti diversi, trincerati sulle proprie posizioni e pronti ad attaccare. Credo che sia possibile con un intellettuale e un ricercatore, com’è di fatto questo pontefice, avere divergenze di opinioni che non si trasformino in antagonismo all’arma bianca. Dopo il discorso ufficiale in cui il Pontefice ti ha menzionato per nome salutando la Comunità ebraica di Venezia che “Ha antiche radici ed è una presenza importante nel tessuto cittadino”, lo stesso ti ha poi ricevuto insieme ad altre autorità. L’occasione per un saluto veloce o per qualcosa di più? Se devo essere sincero tutti sono rimasti sorpresi del fatto che invece di un saluto veloce, riservato agli altri, con me si sia invece trattenuto a parlare e che per tutto il tempo abbia tenuto la mia mano nella sua. Cosa vi siete detti? Il Pontefice ha ascoltato con manifesto interesse, prima il racconto delle origini storiche della mia famiglia, proveniente dalla Germania come lui del resto, poi la storia della presenza ebraica in città. È intervenuto anche il Cardinale Scola che ha ricordato l’importanza della cultura ebraica a Venezia e nello specifico della biblioteca ebraica “Renato Maestro” grazie ai suoi tesori librari. Per il resto si vedrà. Come ho detto in una recente intervista, quello che conta in un incontro e in un dialogo è capire cosa c’è che unisce e cosa c’è che divide. Dobbiamo averne cognizione, poterlo analizzare e discutere, è indubbio che ci siano dei punti critici che ci dividono. Michael Calimani,http://www.moked.it/

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