venerdì 2 dicembre 2011


Voci a confronto

In una giornata al momento priva di grandi novità politiche vanno messe in primo piano alcune affermazioni che, ahimé, ritornano regolarmente in Occidente. Riporto testualmente il sottotitolo di Rinascita: “Il sogno di dominazione del mondo, come si è visto, non lascia spazio alla sopravvivenza di Israele o di qualsiasi altra nazione”. Impossibile dare un significato diminutivo della gravità delle parole alle ultime cinque di questa frase che riporta un concetto che si ritrova anche nell’articolo dove si legge che “500.000 israeliani dicono di non potere permettersi di guidare il mondo da pochi acri di sabbia, attualmente coltivati da contadini stranieri” (già, è finito un certo sionismo dei primi pionieri). Ovvio che il “giornalista” Duff Gordon, che firma oggi ben due articoli su questa testata, parli anche del “probabile coinvolgimento” israeliano negli attentati dell’11 settembre. Nel secondo articolo di Gordon Duff si legge che “Israele spazza via i palestinesi in modo assai simile a come la Turchia spazzò via gli Armeni”. Parole da valutare tutte con grande attenzione e che, purtroppo, verranno recepite acriticamente dai lettori di Rinascita. Altrettanto grave quanto si legge sul Manifesto dove Chiara Organtini parla di due film israeliani che il sottoscritto non ha visto; quando parla di Checkpoint scrive che Israele “non ha nemmeno risolto (se esiste soluzione) il problema dell’identità perché il territorio che abita è transizione, casa e futuro per migliaia di arabi”. Si ritorna dunque alla questione dell’identità di triste memoria. Piccola soddisfazione viene dall’osservazione delle ben modeste conoscenze storiche di chi trova spazio nelle pagine del Manifesto: sia nel titolo che nel testo il ben noto criminale nazista viene ridenominato “Eichemann”.Dimitri Buffa su Opinione descrive la protesta ufficiale che i responsabili dell’UNESCO hanno rivolto al rappresentante di Israele a causa della pubblicazione di una vignetta su Haaretz (notoriamente giornale contrario a Netanyahu) che fa vedere il primo ministro che, parlando col ministro della difesa, darebbe l’ordine di attaccare con l’aviazione l’Iran e, nella strada del ritorno, di attaccare pure la sede ONU a Ramallah. Mi permetta il lettore di osservare che coloro che dovrebbero essere i massimi sostenitori della cultura non hanno compreso nulla né del concetto della libertà di stampa, né di chi avrebbero dovuto, eventualmente, convocare (intendo dire qui il direttore del giornale e non il rappresentante della politica di Netanyahu).
Nel 20esimo anniversario della nascita di internet si riunisce a Roma un gruppo di giovani, come scrive Rob. Zun. sul Fatto Quotidiano, che, guidati da Na’ama Shamgar, abitante a Tel Aviv, cercano di far incontrare in modo concreto, anche se solo col mezzo virtuale, ragazzi israeliani con coetanei palestinesi, siriani, egiziani, in modo che imparino a conoscersi. Iniziativa che, sotto questo aspetto, è certamente positiva, ma purtroppo si legge poi che, per la leader del movimento, tra “gli uomini al potere nessuno, e soprattutto Netanyahu, è interessato a raggiungere la pace”. E’ strano che siano sempre questi concetti a trovare spazio nei nostri quotidiani?Per venire alla realtà politica, ma senza miglior stato d’animo, bisogna leggere anche oggi la pagina che Sergio Romano gestisce sul Corriere nel suo quotidiano dialogo coi lettori; a chi si preoccupa di un possibile attacco preventivo di Israele contro l’Iran e delle ricadute economiche di tale ipotetica azione bellica sull’Occidente, Romano risponde lanciandosi nella rituale assoluzione dell’Iran: ”La prospettiva di un attacco iraniano contro Israele sembra alquanto improbabile”, scrive, dimenticando le tante dichiarazioni di tutti i leaders sciiti, ben diverse da quelle che venivano fatte all’epoca della guerra fredda (cui Romano fa riferimento) quando le armi nucleari erano di fatto un mezzo delle due superpotenze per difendersi da qualsiasi attacco dell’avversario, visto che nessuno pretendeva davvero di spazzare via l’altro. Romano dimostra di credere poco a quanto l’AIEA ha denunciato, scrivendo: “mi chiedo se i progressi permettano davvero di possedere un ordigno fra un paio d’anni”, ma continua la sua personale guerra contro Israele colpevole, a suo dire, di voler bloccare il progetto nucleare nemico perché si sentirebbe più isolato ed insicuro dopo lo scoppio delle rivolte arabe; insomma, anche lui, ancora una volta, riesce a trovare gli israeliani sempre e comunque colpevoli di tutto quanto succede. Questo concetto lo si ritrova ancora alla fine del pensiero di Romano quando scrive che di fronte ad un Ahmadinejad che “sembrerebbe disponibile ad un’intesa con l’Occidente”, un eventuale attacco israeliano contribuirebbe alla vittoria dei Pasdaran che, loro, vogliono incrementare la tensione con l’Occidente. Carlo Panella su Libero scrive che ONU, EU ed USA non hanno intenzione di interessarsi davvero di quanto succede in Siria dove il Baath (che affonda le sue radici nel nazismo) è libero di fare quello che vuole, e solo Arabia Saudita e Turchia si sporcano le mani. Esemplari le ultime parole di Panella: “La Siria annega nel sangue e l’Europa sta a guardare”. E, aggiunge il sottoscritto, non è la prima volta che questo succede.Le Figaro scrive che se non finiscono i lanci di razzi, sempre più potenti e precisi, contro Israele, si renderà inevitabile una nuova azione terrestre di risposta, che dovrà essere di breve durata e mirata contro le postazioni terroristiche per risparmiare al massimo le vittime civili (ma è falso quando il giornalista scrive che la maggior parte dei 1300 morti della guerra del 2008-2009 erano civili). L’Herald Tribune parla della vicenda del bambino americano che nacque a Gerusalemme (tra l’altro nella parte occidentale della città), ma che non può scrivere nel suo passaporto che è nato in Israele. Si attende la sentenza della Corte Suprema che dovrà decidere se dare ragione all’Amministrazione, che si oppone a che compaia la parola Israele, ed in tal caso sarebbe “una vittoria per tutti”; se al contrario la Corte Suprema rifiutasse di pronunciarsi sarebbe una sconfitta per tutti. Che il bambino sia l’unico americano a non poter vedere il nome del proprio paese di nascita sul passaporto non interesserebbe, per questo quotidiano, a nessuno.Alcuni giornali, spesso con delle brevi (Stampa, Sole, Osservatore Romano) scrivono di una probabile fine del governo Fayyad a fronte di un nuovo accordo tra Fatah e Hamas che, inevitabilmente, spianerebbe la strada al partito che già controlla Gaza. Infine il Wall Street Journal dedica la sua attenzione al grave problema degli immigrati irregolari che entrano, sempre di più, in Israele; tra 1000 e 2000 arrivano ogni mese da Sudan, Etiopia ed Eritrea, 35.000 lavorano oggi a Tel Aviv dopo essere entrati illegalmente, 20.000 sono rimasti dopo essere entrati con un permesso temporaneo; un conto sono le ragioni umanitarie, che si devono tenere in considerazione, ma un altro sono i numeri con i loro effetti che non possono non preoccupare tutti.E. Segre Amar, http://moked.it/

Nessun commento: