mercoledì 14 marzo 2012

Israele sta perdendo la guerra su internet? - L’ANALISI

Duecento razzi lanciati dai miliziani palestinesi hanno colpito il territorio israeliano, 37 raid aerei israeliani su Gaza che hanno ucciso 19 palestinesi: quella che si sta combattendo in questi giorni, tra la Striscia di Gaza e il Sud di Israele, è una vera guerra, combattuta a colpi di razzi grad a media gettata (da parte palestinese), di aerei e droni (da parte israeliana). Come spesso accade in questi casi, in contemporanea alla guerra vera se ne sta combattendo un’altra, virtuale, mentre le parti in causa difendono le proprie ragioni su internet. Da un lato i blogger e i twitteranti palestinesi, che diffondono aggiornamenti e immagini da Gaza: (attenzione, ne circolano anche di false) Dall’altro l’esercito israeliano e i suoi sostenitori, che hanno avviato una vera e propria campagna di relazioni pubbliche sui social media, talvolta anche attraverso account ufficiali gestiti da militari: secondo alcuni osservatori è stato un fallimento completo.Prendiamo, come esempio, il caso del maggiore Peter Lerner, uno dei volti dell’esercito israeliano su Twitter (potete seguirlo su @MajPeterLerner). Quando le milizie palestinesi hanno cominciato a intensificare il lancio di razzi sui civili nel Sud di Israele, Lerner ha messo in rete le immagini prese dal video di sorveglianza di un parcheggio della cittadina di Ashdod, una delle più colpite dai bombardamenti. “Potete immaginare qualcosa del genere nel vostro quartiere?”, domanda il militare, in inglese, rivolto a un pubblico di osservatori esterni.Il video mostra semplicemente le immagini di un parcheggio, con le sirene d’allarme che si sentono in sottofondo: non certo una situazione gradevole per chi ci vive, ma neppure il tipo di immagine capace di fare scalpore su internet. Anzi, dal punto di vista di mera comunicazione, la mossa di Lerner si è rivelata un boomerang… Perché nel giro di pochi secondi molti utenti filo-palestinesi l’hanno bombardato di immagini da Gaza (dove i bombardamenti sono più massicci) e risposte sul tono “piuttosto, provate a immaginare QUESTO nel vostro quartiere”.In breve, l’esercito israeliano pare avere qualche difficoltà a difendere la sua immagine su internet. Si tratta di una (relativa) novità, perché fino a poco tempo fa il campo filo-israeliano era stato molto efficace nel difendere le proprie posizioni, specie nel mondo anglosassone. I social media, invece, sembrano un terreno scivoloso per l’hasbarà - letteralmente “spiegazione” in ebraico, ovvero l’operazione di difendere le posizioni di Israele secondo un modello che il giornalista di sinistra israeliano Anshel Pfeffer riassume così: “A differenza della propaganda, che è un misto di menzogne e mezze verità, l’hasbarà si basa sulla diffusione di una selezione di fatti veri”.Sul perché il campo filo-israeliano fatichi a tenere botta sul web 2.0, gli osservatori hanno teorie diverse. Joel Schalit, direttore di Souciant Magazine e autore del saggio Israel vs Utopia, sostiene che il problema principale è che le armi tradizionali dell’hasbarà sono poco adatte ai social media… Ma anche all’attuale situazione di debolezza internazionale di Israele: “I ragazzi che difendono Israele su internet sono abituati ad ‘inondare’ i canali mediati con articoli dei giornali conservatori israeliani, come Israel HaYom e il Jerusalem Post, che non hanno alcun ‘appeal’ dal punto di vista di chi li legge in lingua inglese”, racconta a Panorama.it.Il punto di Schalit è che da un lato il pubblico internazionale di internauti, cui è diretta l’hasbarà 2.0, è sempre più sospettoso nei confronti di Israele: “Dopo la primavera araba, il pubblico è divenuto più ostile alle campagne militari di Israele, soprattutto sui social media in lingua inglese”. Dall’altro lato, sempre secondo Schalit, è la stessa natura dei social media, che si basano sul dialogo molto più dei giornali onile e dei “vecchi” blog, a mettere in difficoltà l’hasbarà: “Questi ragazzi puntano tutto sullo spamming, non sono bravi nel dialogo”.Anche Lisa Goldman, blogstar israeliana e fondatrice del popolarissimo sito di informazione 972Mag, vede nell’incapacità di dialogo il punto più debole della rappresentanza israeliana sul web: “I portavoci dell’esercito difendono sempre la stessa storia del Paese circondato dai nemici feroci, una narrativa binaria che non attacca più” ci spiega.Inoltre sostiene che se l’esercito di Gerusalemme è in difficoltà… E’ soprattutto perché i palestinesi sono più bravi a usare Twitter, “grazie all’esempio importato dall’Egitto” ai tempi della rivoluzione di piazza Tahrir dello scorso anno: “Nel 2009, ai tempi dell’Operazione Piombo Fuso, la presenza palestinese sui social media in lingua inglese era praticamente nulla. Adesso invece i ragazzi di Gaza fanno hanno imparato a sentire la loro voce”.Goldman dice di avere notato, negli ultimi anni, una diminuzione dell’attivismo filo-israeliano su internet, e in contemporanea un aumento di quello filo palestinese: “Nel 2009 era pieno di gente che dedicava un sacco di tempo e risorse a diffondere la causa israeliana su internet, di sua iniziativa. Adesso ho come l’impressione che la gente si sia stufata. Nel caso del lancio di razzi sul Sud di Israele, poi, bisogna tenere conto che gli israeliani che abitano nella zona di Tel Aviv, la più densamente popolata, non si sentono toccati più di tanto, sono dispiaciuto ma vanno avanti con le loro vite. I palestinesi di Gaza invece si sentono molto più coinvolti”. http://blog.panorama.it,Anna Momigliano

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