lunedì 28 maggio 2012

"Nelle prigioni di Assad ho visto l’inferno delle torture"

francesca paci, http://www3.lastampa.it/
All’inizio sentivo solo grida disperate, poi dalla porta che i secondini avevano lasciato aperta ho iniziato a vedere le persone torturate, venivano portate via e subito ne arrivavano altre, è andata avanti così per tutta la notte. Pensavo che se l’intelligence di Damasco mi lasciava guardare quell’inferno aveva deciso di uccidermi e pregavo». La voce dell’intellettuale belga Pierre Piccinin arriva disturbata dalla Tunisia, dove sta lavorando alla biografia del presidente Marzouki. Mercoledì scorso ha lasciato Damasco dopo sei giorni di detenzione e pesanti maltrattamenti nelle carceri del regime, un’esperienza che ha ribaltato la sua originaria fiducia nella volontà riformista di Bashar Assad. La «disavventura» di Piccinin, docente di storia alla scuola europea di Bruxelles, noto per le posizioni contro Israele e studioso sul campo della primavera araba, inizia il 15 maggio, quando varca la frontiera libanese per completare la ricerca sulla crisi siriana prossima ormai a contagiare Beirut. «Era la terza volta che andavo in Siria - racconta -. La seconda, a dicembre, ero stato invitato come osservatore dal ministero dell’Informazione perchè il governo aveva apprezzato gli articoli in cui criticavo la copertura occidentale della rivolta e raccontavo che l’opposizione era debole, i disertori pochi e tra i ribelli c’erano i salafiti che facevano cose orribili. Su questi dati, peraltro, non ho cambiato idea». Damasco insomma, conosceva bene Piccinin, anche se l’ambasciata a Bruxelles gli aveva negato il visto turistico, ottenuto poi dalla polizia di confine di Masna’a. Secondo l’attivista Sima, ospite fissa dei meeting dell’opposizione a Istanbul, la ferocia delle ultime settimane è la prova che il regime sta collassando: «Sono fuori controllo, torturano alla cieca e alimentano l’odio settario, indifferenti al giudizio del mondo». Tant’è. Il 17 mattina, dopo aver guidato dalla capitale alla distrutta Homs e da lì a Talbisseh, una delle città controllate dal Libero Esercito Siriano, Piccinin viene fermato al check point governativo di Tall Kalakh, dove mostra il passaporto e chiede di visitare la roccaforte ribelle. La polizia invece lo carica in macchina e lo ammanetta.Il seguito è una parentesi senza tempo: «All’inizio mi hanno portato al centro della sicurezza di Tall Kalakh e poi a quello di Homs, dove mi hanno tolto documenti, telefonino, la chiavetta Usb con le foto del Libero Esercito Siriano. È qui che sono stato interrogato a lungo anche con l’elettricità sul petto... Capivo che mi credevano una spia francese. Non è servito a nulla il biglietto da visita del mio contatto di dicembre col ministero dell’Informazione. Non so quanto sia durata la violenza, poi mi hanno messo in quella stanza da cui potevo vedere le persone torturate. Mi dicevo che avrebbero dato la colpa della mia morte ai ribelli di Tall Kalakh, perchè nella mia ultima intervista alla «Radio Svizzera» avevo detto d’essere diretto lì». Da Homs lo storico viene portato al Far’ Falastin, il famigerato «ramo palestinese» del carcere damasceno creato negli Anni 50 per interrogare le presunte spie israeliane. «A Damasco ho avuto solo pressioni psicologiche ma dalle altre stanze sentivo urla strazianti, poi nel corridoio ho visto un vecchio torturato che non stava in piedi» continua Piccinin. Pochi mesi prima di lui l’edile turco Mursel Almaz, detenuto per 51 giorni con l’accusa d’essere una spia di Ankara, ne era uscito mutilato e col ricordo di «celle puzzolenti di sangue».Tra aprile e agosto 2011 Amnesty International ha documentato almeno 88 casi di morte in prigioni siriane, 52 dei quali con evidenti segni di tortura. «Credevo che Bashar fosse diverso dal padre, oggi penso che sia necessario un sostegno esterno al Libero Esercito Siriano, già presente a Damasco e Aleppo, perché a quel punto la maggioranza silenziosa si solleverà» chiosa lo studioso belga. Il suo ultimo ricordo della Siria ora è il temibile centro di detenzione di Bab al-Musalla: «Ci sono rimasto 4 giorni. Lì ho fatto amicizia con detenuti politici che mi hanno dato da mangiare, mi hanno curato e hanno pagato un secondino per avere il cellulare con cui ho chiamato un amico in Belgio. Non sapevo niente ma il ministero degli Affari esteri stava già lavorando per il mio rilascio e il 23 mattina sono partito».

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