“Dai miei lettori e dalla critica, in Italia e all'estero, io vengo ormai considerato uno 'scrittore ebreo'. Ho accettato questa definizione di buon animo, ma non subito e non senza resistenze: in effetti, l'ho accettata nella sua interezza solo abbastanza avanti nella vita e nel mio itinerario di scrittore. Mi sono adattato alla condizione di ebreo solo come effetto delle leggi razziali, emanate in Italia nel 1938 quando avevo 19 anni, e dalla mia deportazione ad Auschwitz, avvenuta nel 1944. Mi sono adattato alla condizione di scrittore ancora più tardi, dopo i 45 anni, quando avevo già pubblicato due libri, e quando il mestiere di scrivere (che tuttavia non ho mai considerato un vero mestiere) ha cominciato a prevalere sul mio mestiere 'ufficiale' di chimico. Per entrambi gli scalini, si è trattato piuttosto di un intervento del destino che di una scelta deliberata e consapevole”. Queste le parole di Primo Levi tratte da Itinerario di uno scrittore ebreo in cui emerge in modo lampante la sua difficoltà a definirsi con una sola 'etichetta': quella di ebreo o quella di scrittore o ancora quella di chimico. Sarebbe forse più corretto parlare di queste 'etichette' come di tre elementi che si sono intrecciati in modi e quantità diverse nel corso della sua vita, ma mai l’uno senza l’altro. “In occasione del venticinquesimo anniversario della sua scomparsa, spiega Dario Disegni, consigliere del Centro Studi Primo Levi, «avvenuta l’11 aprile 1987 in seguito a una tragica caduta dalla tromba delle scale di casa sua, il Centro Internazionale di Studi Primo Levi ha deciso di organizzare una serie di iniziative tese a riflettere sull’importanza di questa straordinaria figura e sulle diverse sfaccettature che ne hanno caratterizzato la personalità”. Sei incontri per ricordare e per pensare: questo il titolo dell’iniziativa, una sorta di viaggio teso a ripercorrere la vita e gli interessi di Levi. Il primo incontro, svoltosi il 26 marzo scorso, ha affrontato il tema di Auschwitz e della deportazione, presentando al Teatro Gobetti di Torino la nuova edizione di Se questo è un uomo a cura di Alberto Cavaglion. Il 3 e 4 aprile è stato poi messo in scena, presso le Fonderie Limone di Moncalieri, lo spettacolo Il segno del chimico. Dialogo con Primo Levi, una pseudo intervista le cui risposte sono state attinte direttamente dalle sue stesse opere. Per indagare e approfondire il rapporto tra Levi e il mondo ebraico è stato quindi organizzato un convegno di studi che si svolgerà domenica 6 maggio nella sede della Comunità ebraica di Torino. A presiedere l’incontro Dario Disegni, chiamati a portare un contributo rav Eliahu Birnbaum, Stefano Levi della Torre, Amos Luzzato e David Meghnagi. L’intera opera di Levi risulta costellata di elementi tratti dalla cultura e tradizione ebraica, anche se è lui stesso a definirsi laico: “Io sono ebreo come anagrafe, vale a dire che sono iscritto alla Comunità Israelitica di Torino, ma non sono praticante e neppure sono credente. Sono però consapevole di essere inserito in una tradizione e in una cultura. Io uso dire di sentirmi italiano per tre quarti o per quattro quinti, a seconda dei momenti, ma quella frazione che avanza, per me è piuttosto importante». Il contatto con la cultura ebraica si intensifica una volta tornato in Italia dopo la guerra: “Poiché i miei genitori sono ebrei – afferma Levi – mi sono costruito una cultura ebraica, ma molto tardi, dopo la guerra. Quando sono ritornato, mi sono trovato in possesso di una cultura supplementare e ho cercato di svilupparla »”Il richiamo alla tradizione ebraica emerge in modo più o meno esplicito: a volte è diretto, altre rimane celato. Anna Segre, in un articolo scritto per Ha Keillah, Da Ulisse a Lilit, si chiede come si debbano cercare le influenze dell’identità ebraica in uno scrittore ebreo. Restringe il campo di ricerca a tre ambiti: l’ebraismo come condizione, come ambiente e come linguaggio. Nel caso di Primo Levi è possibile rintracciare riferimenti specifici alla cultura ebraica sotto forma di metafore e citazioni. A partire dalla prima pagina del suo primo libro, Se questo è un uomo, è presente un riferimento esplicito a due frasi dello Shemà, la prima pregheria che si impara e che si ripete ogni giorni alzandosi e coricandosi: costituisce un ammonimento alle generazioni future affinché l’orrore della Shoah non precipiti nell’oblio del tempo.In Argon, primo racconto della raccolta Il sistema periodico, Primo Levi approfondisce lo studio delle sue origini ebraico‐piemontesi e del dialetto parlato dai suoi familiari, che si contraddistingueva per l’ironia, l’amore per i giochi di parole e per i soprannomi, così da poter far capire al lettore il modo in cui parlavano e pensavano gli ebrei dell’epoca.Il richiamo al mondo ebraico è costante e continuo in tutti i suoi scritti, dal racconto autobiografico, al saggio. Un altro tema caro all'autore, l’uomo e il lavoro, sarà ripreso l’11 maggio, in occasione del Salone Internazionale del Libro, dove verrà presentato il volume Una telefonata con Primo Levi di Stefano Bartezzaghi. Gli ultimi due incontri si svolgeranno l’8 novembre, nell’aula magna della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali di Torino e il 20 novembre con una mattinata dedicata all’importanza di raccontare, insegnare, imparare Auschwitz, rivolta soprattutto ai giovani. La varietà dei temi che vengono affrontati mette in risalto l’aspetto più significativo di Primo Levi: il suo essere poliedrico, che è ciò che gli ha permesso di instaurare un rapporto originalissimo tra la cultura ebraica, le discipline umanistiche e il sapere scientifico. Tutto questo ha contribuito a renderlo uno dei più stimabili intellettuali e testimoni del secolo scorso. Alice Fubini, Italia Ebraica, maggio 2012, http://www.moked.it/
lunedì 7 maggio 2012
Primo Levi e il rapporto con l’identità
“Dai miei lettori e dalla critica, in Italia e all'estero, io vengo ormai considerato uno 'scrittore ebreo'. Ho accettato questa definizione di buon animo, ma non subito e non senza resistenze: in effetti, l'ho accettata nella sua interezza solo abbastanza avanti nella vita e nel mio itinerario di scrittore. Mi sono adattato alla condizione di ebreo solo come effetto delle leggi razziali, emanate in Italia nel 1938 quando avevo 19 anni, e dalla mia deportazione ad Auschwitz, avvenuta nel 1944. Mi sono adattato alla condizione di scrittore ancora più tardi, dopo i 45 anni, quando avevo già pubblicato due libri, e quando il mestiere di scrivere (che tuttavia non ho mai considerato un vero mestiere) ha cominciato a prevalere sul mio mestiere 'ufficiale' di chimico. Per entrambi gli scalini, si è trattato piuttosto di un intervento del destino che di una scelta deliberata e consapevole”. Queste le parole di Primo Levi tratte da Itinerario di uno scrittore ebreo in cui emerge in modo lampante la sua difficoltà a definirsi con una sola 'etichetta': quella di ebreo o quella di scrittore o ancora quella di chimico. Sarebbe forse più corretto parlare di queste 'etichette' come di tre elementi che si sono intrecciati in modi e quantità diverse nel corso della sua vita, ma mai l’uno senza l’altro. “In occasione del venticinquesimo anniversario della sua scomparsa, spiega Dario Disegni, consigliere del Centro Studi Primo Levi, «avvenuta l’11 aprile 1987 in seguito a una tragica caduta dalla tromba delle scale di casa sua, il Centro Internazionale di Studi Primo Levi ha deciso di organizzare una serie di iniziative tese a riflettere sull’importanza di questa straordinaria figura e sulle diverse sfaccettature che ne hanno caratterizzato la personalità”. Sei incontri per ricordare e per pensare: questo il titolo dell’iniziativa, una sorta di viaggio teso a ripercorrere la vita e gli interessi di Levi. Il primo incontro, svoltosi il 26 marzo scorso, ha affrontato il tema di Auschwitz e della deportazione, presentando al Teatro Gobetti di Torino la nuova edizione di Se questo è un uomo a cura di Alberto Cavaglion. Il 3 e 4 aprile è stato poi messo in scena, presso le Fonderie Limone di Moncalieri, lo spettacolo Il segno del chimico. Dialogo con Primo Levi, una pseudo intervista le cui risposte sono state attinte direttamente dalle sue stesse opere. Per indagare e approfondire il rapporto tra Levi e il mondo ebraico è stato quindi organizzato un convegno di studi che si svolgerà domenica 6 maggio nella sede della Comunità ebraica di Torino. A presiedere l’incontro Dario Disegni, chiamati a portare un contributo rav Eliahu Birnbaum, Stefano Levi della Torre, Amos Luzzato e David Meghnagi. L’intera opera di Levi risulta costellata di elementi tratti dalla cultura e tradizione ebraica, anche se è lui stesso a definirsi laico: “Io sono ebreo come anagrafe, vale a dire che sono iscritto alla Comunità Israelitica di Torino, ma non sono praticante e neppure sono credente. Sono però consapevole di essere inserito in una tradizione e in una cultura. Io uso dire di sentirmi italiano per tre quarti o per quattro quinti, a seconda dei momenti, ma quella frazione che avanza, per me è piuttosto importante». Il contatto con la cultura ebraica si intensifica una volta tornato in Italia dopo la guerra: “Poiché i miei genitori sono ebrei – afferma Levi – mi sono costruito una cultura ebraica, ma molto tardi, dopo la guerra. Quando sono ritornato, mi sono trovato in possesso di una cultura supplementare e ho cercato di svilupparla »”Il richiamo alla tradizione ebraica emerge in modo più o meno esplicito: a volte è diretto, altre rimane celato. Anna Segre, in un articolo scritto per Ha Keillah, Da Ulisse a Lilit, si chiede come si debbano cercare le influenze dell’identità ebraica in uno scrittore ebreo. Restringe il campo di ricerca a tre ambiti: l’ebraismo come condizione, come ambiente e come linguaggio. Nel caso di Primo Levi è possibile rintracciare riferimenti specifici alla cultura ebraica sotto forma di metafore e citazioni. A partire dalla prima pagina del suo primo libro, Se questo è un uomo, è presente un riferimento esplicito a due frasi dello Shemà, la prima pregheria che si impara e che si ripete ogni giorni alzandosi e coricandosi: costituisce un ammonimento alle generazioni future affinché l’orrore della Shoah non precipiti nell’oblio del tempo.In Argon, primo racconto della raccolta Il sistema periodico, Primo Levi approfondisce lo studio delle sue origini ebraico‐piemontesi e del dialetto parlato dai suoi familiari, che si contraddistingueva per l’ironia, l’amore per i giochi di parole e per i soprannomi, così da poter far capire al lettore il modo in cui parlavano e pensavano gli ebrei dell’epoca.Il richiamo al mondo ebraico è costante e continuo in tutti i suoi scritti, dal racconto autobiografico, al saggio. Un altro tema caro all'autore, l’uomo e il lavoro, sarà ripreso l’11 maggio, in occasione del Salone Internazionale del Libro, dove verrà presentato il volume Una telefonata con Primo Levi di Stefano Bartezzaghi. Gli ultimi due incontri si svolgeranno l’8 novembre, nell’aula magna della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali di Torino e il 20 novembre con una mattinata dedicata all’importanza di raccontare, insegnare, imparare Auschwitz, rivolta soprattutto ai giovani. La varietà dei temi che vengono affrontati mette in risalto l’aspetto più significativo di Primo Levi: il suo essere poliedrico, che è ciò che gli ha permesso di instaurare un rapporto originalissimo tra la cultura ebraica, le discipline umanistiche e il sapere scientifico. Tutto questo ha contribuito a renderlo uno dei più stimabili intellettuali e testimoni del secolo scorso. Alice Fubini, Italia Ebraica, maggio 2012, http://www.moked.it/
“Dai miei lettori e dalla critica, in Italia e all'estero, io vengo ormai considerato uno 'scrittore ebreo'. Ho accettato questa definizione di buon animo, ma non subito e non senza resistenze: in effetti, l'ho accettata nella sua interezza solo abbastanza avanti nella vita e nel mio itinerario di scrittore. Mi sono adattato alla condizione di ebreo solo come effetto delle leggi razziali, emanate in Italia nel 1938 quando avevo 19 anni, e dalla mia deportazione ad Auschwitz, avvenuta nel 1944. Mi sono adattato alla condizione di scrittore ancora più tardi, dopo i 45 anni, quando avevo già pubblicato due libri, e quando il mestiere di scrivere (che tuttavia non ho mai considerato un vero mestiere) ha cominciato a prevalere sul mio mestiere 'ufficiale' di chimico. Per entrambi gli scalini, si è trattato piuttosto di un intervento del destino che di una scelta deliberata e consapevole”. Queste le parole di Primo Levi tratte da Itinerario di uno scrittore ebreo in cui emerge in modo lampante la sua difficoltà a definirsi con una sola 'etichetta': quella di ebreo o quella di scrittore o ancora quella di chimico. Sarebbe forse più corretto parlare di queste 'etichette' come di tre elementi che si sono intrecciati in modi e quantità diverse nel corso della sua vita, ma mai l’uno senza l’altro. “In occasione del venticinquesimo anniversario della sua scomparsa, spiega Dario Disegni, consigliere del Centro Studi Primo Levi, «avvenuta l’11 aprile 1987 in seguito a una tragica caduta dalla tromba delle scale di casa sua, il Centro Internazionale di Studi Primo Levi ha deciso di organizzare una serie di iniziative tese a riflettere sull’importanza di questa straordinaria figura e sulle diverse sfaccettature che ne hanno caratterizzato la personalità”. Sei incontri per ricordare e per pensare: questo il titolo dell’iniziativa, una sorta di viaggio teso a ripercorrere la vita e gli interessi di Levi. Il primo incontro, svoltosi il 26 marzo scorso, ha affrontato il tema di Auschwitz e della deportazione, presentando al Teatro Gobetti di Torino la nuova edizione di Se questo è un uomo a cura di Alberto Cavaglion. Il 3 e 4 aprile è stato poi messo in scena, presso le Fonderie Limone di Moncalieri, lo spettacolo Il segno del chimico. Dialogo con Primo Levi, una pseudo intervista le cui risposte sono state attinte direttamente dalle sue stesse opere. Per indagare e approfondire il rapporto tra Levi e il mondo ebraico è stato quindi organizzato un convegno di studi che si svolgerà domenica 6 maggio nella sede della Comunità ebraica di Torino. A presiedere l’incontro Dario Disegni, chiamati a portare un contributo rav Eliahu Birnbaum, Stefano Levi della Torre, Amos Luzzato e David Meghnagi. L’intera opera di Levi risulta costellata di elementi tratti dalla cultura e tradizione ebraica, anche se è lui stesso a definirsi laico: “Io sono ebreo come anagrafe, vale a dire che sono iscritto alla Comunità Israelitica di Torino, ma non sono praticante e neppure sono credente. Sono però consapevole di essere inserito in una tradizione e in una cultura. Io uso dire di sentirmi italiano per tre quarti o per quattro quinti, a seconda dei momenti, ma quella frazione che avanza, per me è piuttosto importante». Il contatto con la cultura ebraica si intensifica una volta tornato in Italia dopo la guerra: “Poiché i miei genitori sono ebrei – afferma Levi – mi sono costruito una cultura ebraica, ma molto tardi, dopo la guerra. Quando sono ritornato, mi sono trovato in possesso di una cultura supplementare e ho cercato di svilupparla »”Il richiamo alla tradizione ebraica emerge in modo più o meno esplicito: a volte è diretto, altre rimane celato. Anna Segre, in un articolo scritto per Ha Keillah, Da Ulisse a Lilit, si chiede come si debbano cercare le influenze dell’identità ebraica in uno scrittore ebreo. Restringe il campo di ricerca a tre ambiti: l’ebraismo come condizione, come ambiente e come linguaggio. Nel caso di Primo Levi è possibile rintracciare riferimenti specifici alla cultura ebraica sotto forma di metafore e citazioni. A partire dalla prima pagina del suo primo libro, Se questo è un uomo, è presente un riferimento esplicito a due frasi dello Shemà, la prima pregheria che si impara e che si ripete ogni giorni alzandosi e coricandosi: costituisce un ammonimento alle generazioni future affinché l’orrore della Shoah non precipiti nell’oblio del tempo.In Argon, primo racconto della raccolta Il sistema periodico, Primo Levi approfondisce lo studio delle sue origini ebraico‐piemontesi e del dialetto parlato dai suoi familiari, che si contraddistingueva per l’ironia, l’amore per i giochi di parole e per i soprannomi, così da poter far capire al lettore il modo in cui parlavano e pensavano gli ebrei dell’epoca.Il richiamo al mondo ebraico è costante e continuo in tutti i suoi scritti, dal racconto autobiografico, al saggio. Un altro tema caro all'autore, l’uomo e il lavoro, sarà ripreso l’11 maggio, in occasione del Salone Internazionale del Libro, dove verrà presentato il volume Una telefonata con Primo Levi di Stefano Bartezzaghi. Gli ultimi due incontri si svolgeranno l’8 novembre, nell’aula magna della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali di Torino e il 20 novembre con una mattinata dedicata all’importanza di raccontare, insegnare, imparare Auschwitz, rivolta soprattutto ai giovani. La varietà dei temi che vengono affrontati mette in risalto l’aspetto più significativo di Primo Levi: il suo essere poliedrico, che è ciò che gli ha permesso di instaurare un rapporto originalissimo tra la cultura ebraica, le discipline umanistiche e il sapere scientifico. Tutto questo ha contribuito a renderlo uno dei più stimabili intellettuali e testimoni del secolo scorso. Alice Fubini, Italia Ebraica, maggio 2012, http://www.moked.it/
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