mercoledì 7 novembre 2012
In cornice - A porte chiuse sinagoga Ahrida
Non fa piacere vedere una
sinagoga chiusa, vederne tre è quasi troppo, specie se sembrano
sbarrate, trasformate in fortezze da non penetrare. E' quel che mi è
capitato di vedere a Istanbul, dove iniziato col cercare di visitare il
grande bet haknesset Ahrida, il più noto e importante della città.
Risale all'inizio del XV secolo, e anche se è stato più volte vittima
di incendi, pare che mantenga grande fascino con la sua tevà a forma di
nave – metafora o dell'arca di Noè o della fuga in nave dalle grinfie
dell'Inquisizione –, il suo pavimento di marmo di Marmara, il suo Ehal
con le porte ornate di madreperla. Niente da fare: un grande
chiavistello chiude il cancello, e le cartacce lì davanti indicano che
da tempo nessuno è entrato. Strano, perché è stato restaurato con
grande impegno all'inizio degli anni '90, e potrebbe diventare una meta
turistica interessante, pur in una città splendida. Percorrendo qualche
centinaia di metri oltre la Ahrida, in direzione del centro città, si
arriva alla sinagoga Yanbol, costruita oltre 300 anni fa; pare sia in
legno, con quadri di panorama a ornare il soffitto, e un ricco Aron
Hakkodesh con la madreperla. In realtà è difficile da individuare
perché è piccola e senza neppure una mezuzà all'esterno; la porta
sbarrata, il filo spinato sul terrazzino e la telecamera, indicano che
si è arrivati al posto giusto. Certo, si può dire, ambedue le sinagoghe
si trovano nel quartiere di Balat, abitato da sempre da ebrei, ma poi
gradualmente abbandonato con il miglioramento delle condizioni
economiche. Ma allora perché anche il bet haknesset di Sirkeci, a due
passi dal centro, potenziale ottimo punto di riferimento per i turisti
di passaggio, è chiuso con una porta blindata, senza mezuzà, con il
solito filo spinato sui muri? Ho ben presente l'attentato alla sinagoga
di Nevé Shalom e Bet Israel di una decina di anni fa, ma, leggo, la
comunità di Istanbul conta oggi intorno alle 15.000 persone. Sono una
goccia fra i 17 milioni di abitanti della città, ma comunque una bella
realtà in termini italiani. Certamente in città sono aperte altre
sinagoghe, a partire da quella di Nevé Shalom vicino alla torre di
Galata, ma la sensazione lasciata dalle altre sinagoghe chiuse, pur
essendo possibili mete di tanti turisti sia per essere visitate sia per
pregarvi, indicano che la situazione non è tranquilla. E poi l'assenza
di mezuzot all'esterno è particolarmente inquietante, quasi fosse
imperativo mimetizzarsi, quasi ci si trovasse in una zona di pericolo.
Probabilmente dovremmo interessarci di più a quello che succede ai
nostri correligionari a Istanbul che vivono in un'economia in crescita,
fra gente ospitale e in una città splendida, ma probabilmente non
vivono un buon momento.Daniele
Liberanome, critico d'arte,http://www.moked.it/
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