giovedì 8 novembre 2012
Sulle tracce dei berberi di Tinghir
Da bambino amava perdersi
tra i vicoli nel cuore di Tinghir. Ma Kamal Hachkar non aveva mai
sospettato che nella cittadina sulle montagne dell’Atlante marocchino
in cui era nato, proprio in quel quartiere un tempo viveva una fiorente
comunità ebraica di cui ormai non rimane più traccia. Prende il via da
questa scoperta Tinghir-Gerusalemme, gli echi del Mellah, il
documentario che ieri ha concluso la terza giornata del Pitigliani
Kolno’a Festival. Il film racconta il viaggio che porta il giovane
regista, trasferitosi bambino in Francia insieme ai genitori, a
ricostruire la scomparsa della realtà ebraico berbera di Tinghir. E’ un
percorso complicato che lo vede spostarsi dal Marocco a Israele, dove
gli ebrei berberi si sono trasferiti, affrontando i temi scomodi
dell’identità (“io stesso d’altronde mi sono sempre sentito quello che
è altrove ed è questo il motore narrativo del film”), del pregiudizio
(“in Israele gli ebrei berberi sono sempre stati considerati
primitivi”, dice il cantante Shlomo Bar), delle radici e il dolore
dell’esilio. La capillare ricerca di Kamal Hachkar è
facilitata, in modo quasi paradossale, dal suo essere musulmano. Gli
ebrei berberi trasferitisi in Israele negli anni sessanta per timore di
ritorsioni dopo i conflitti arabo israeliani, non hanno dimenticato
com’era la vita a Tinghir. E lo accolgono a braccia aperte nel nome
della secolare convivenza che lì univa ebrei e musulmani, rivendicando
con fierezza l’antica fratellanza. E’ la chiave che conduce Hachkar
verso il sogno di un futuro di pace. “La speranza è che il Mediterraneo
possa tornare a essere una realtà plurale”, dice. “In questo senso vi
sono tanti esponenti del mondo della cultura e delle arti che in Europa
e in Medio Oriente da tempo stanno lavorando insieme, al di là delle
differenti appartenenze. Sappiamo bene che la situazione è difficile,
in Medio Oriente come in Francia per il montare gli estremismi. Non si
deve essere ingenui, ma siamo convinti che la cultura può fare molto
per avvicinare le persone”.Kamal Hachkar racconta che il suo documentario, che da poco ha vinto il
primo premio al festival di Ashkelon, ha ottenuto un grande successo di
pubblico sia in Marocco sia in Francia dimostrando come l’interesse per
questi temi sia forte malgrado un costante bombardamento mediatico che
parla solo di divisione, conflitto, intolleranza.Per il Marocco, dice, è stato un modo di riappropriarsi della sua
identità storica multiculturale. Quanto alla Francia, dove il riscontro
è altrettanto buono, le proiezioni hanno richiamato moltissimi
musulmani.Tra loro, gli alunni dello stesso regista che insegna storia in una
banlieue di Parigi. “Sono venuti a vedere la storia degli ebrei di
Tinghir con una certa diffidenza che però è svanita quando si sono
identificati con le anziane donne ebree berbere: sono come le nostre
nonne che vivono in Marocco, hanno detto. Segno che valicare i confini
del pregiudizio o gli steccati tra le culture non è impossibile”. E a
ulteriore esempio Hachkar porta il gruppo parigino Hebreu Arabe, di cui
è fra gli animatori, in cui s’imparano in parallelo ebraico e arabo.
Gli alunni? Gente di tutte le età, spiega, che appartiene a religioni
diverse e spazia dal laico al religioso.Il Pitigliani Kolnoa Festival si conclude questa sera. Fra le
proiezioni in programma, The Cutoff Man di Idan Hubel; Profughi a
Cinecittà di Marco Bertozzi che ricostruisce la vicenda che nel 1944
vide migliaia di uomini, donne e bambini trovare rifugio a Cinecittà;
God’s Neighbour’s di Meni Yaesh e Woody Allen: a documentary di Robert
Weide.Daniela Gross
- http://www.moked.it/
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