martedì 29 gennaio 2013
Dallo
scudetto ad Auschwitz, Matteo Marani
Sono
tante le eccellenze che il regime nazifascista ha annientato durante
la Seconda Guerra mondiale: eccellenze nell’arte, nella musica,
nella letteratura ma anche nello sport.E’
una storia sconosciuta ai più quella che il giornalista Matteo
Marani, docente di giornalismo all’Università di Bologna e
direttore del Guerin Sportivo, racconta con puntiglio storico e
passione sportiva nel libro “Dallo scudetto ad Auschwitz “,
regalandoci un nuovo tassello che si aggiunge alle molte narrazioni
sulla Shoah, preziose come perle rare e uniche come solo può essere
la vita di ciascun essere umano.Il
sottotitolo del libro recita “Vita e morte di Arpad Weisz
allenatore ebreo”.Per
molti è un nome sconosciuto e prima di cimentarsi in questa
avventura lo era anche per il giornalista che “ricordava a malapena
che si trattasse di un allenatore di calcio degli anni Trenta e che
era stato obbligato, dalle leggi razziali, a lasciare il nostro paese
alla vigilia della seconda guerra mondiale…” Di quell’ungherese
inghiottito in un forno crematorio di Auschwitz nessuno sa nulla, né
gli storici, né i giornalisti ma Matteo Marani non demorde e più si
rende conto che la storia è misteriosa più aumenta in lui la
passione di scoprirla e di scavare per ricostruire la vita di Weisz:
un compito arduo e impegnativo cui si è dedicato con la tenacia di
un “detective della Memoria” e di un archeologo riportando alla
luce la storia straordinaria racchiusa in questo bel libro.A
sessant’anni dalla morte - che si immagina avvenuta in un lager
nazista - e nonostante la sua fama di allenatore che aveva fatto
vincere scudetti e coppe, di Arpad Weisz non vi sono tracce. L’unica
eccezione è un cronista locale che negli anni Sessanta, sulla
rivista del Bologna, fornisce alcuni dettagli sul tormentato percorso
della famiglia Weisz prima della fine.Ed
è proprio dalla fine che parte Matteo Marani per ricostruire la vita
dell’allenatore ungherese. Dopo aver letto carte e documenti,
visitati archivi e uffici anagrafe, interrogato giornali dell’epoca,
la prima svolta concreta arriva da Michele Sarfatti, direttore del
Centro documentazione ebraica di Milano, con il consiglio di
consultare lo Yad Vashem, il sito della memoria che contiene i nomi
dei morti dei campi di sterminio e dei ghetti. Successivamente è
grazie all’aiuto di Claudio Roncarati, il responsabile
dell’anagrafe storica di Bologna, che l’autore ottiene il
certificato di residenza di Weisz e il suo stato di famiglia: Arpad
ha una moglie, Elena, con due figli piccoli, Roberto e Clara e ha
vissuto a soli 300 metri dall’abitazione di Marani, in Via
Valeriani al numero 39.Con
l’intuizione di un detective l’autore rintraccia gli elenchi
della scuola dove il piccolo Roberto ha frequentato la prima e
seconda elementare ed entra in contatto, compulsando l’elenco
telefonico, con Giovanni Savigni, l’amico d’infanzia che da quasi
settant’anni cerca di scoprire quale sia stato il destino di
Roberto.Sono
piccoli passi ma molto significativi per Matteo Marani che lo portano
negli uffici della squadra di calcio del Dordrecht per conoscere gli
anni trascorsi da Weisz in Olanda e poi a Westerbork, ultima tappa
prima della deportazione ad Auschwitz.Piano
piano si delinea un quadro dove ogni tassello occupa un posto preciso
e il risultato è un libro di forte impatto emotivo per il quale non
si può che essere grati all’autore.Chi
è Arpad Weisz? Un genio della panchina, un innovatore quasi
rivoluzionario per l’epoca, un uomo coscienzioso, nato per allenare
ma anche un giocatore di talento.Nato
a Solt in Ungheria nel 1896 dove muove i primi passi nel calcio,
giunge in Italia con una notevole esperienza che mette a frutto
facendo conseguire prima all’Inter e poi al Bologna l’ambito
scudetto. Ed è proprio in questa città che si apre il libro di
Marani dove Arpad arriva nel 1935 chiamato dal Presidente Renato
Dall’Ara, consapevole di aver acquisito un professionista di alto
livello. Weisz sostituisce il connazionale Lajos Kovacs e adottando
il metodo che lo ha reso famoso – scendere in campo durante
l’allenamento dei calciatori di cui cura meticolosamente la
preparazione, valorizzare al massimo i giovani, prevedere i ritiri di
squadra ecc. – mette mano alla squadra costruendo quello che è
stato il Bologna più forte di tutti i tempi.E’
un uomo colto, tranquillo, schivo che non ama farsi riprendere in
pubblico Arpad Weisz, un fine psicologo che preferisce dialogare con
i suoi calciatori anziché urlar loro in faccia. Un uomo amato,
stimato che però già dalla primavera del 1938 si sente inquieto per
i soprusi contro gli ebrei e i tragici eventi che accadono in
Germania e che piano piano si profilano anche nell’Italia di
Mussolini.Le
leggi razziali sono un duro colpo per la famiglia Weisz: il piccolo
Roberto non può più frequentare la scuola e anche Arpad,
personaggio conosciuto che svolge un lavoro molto popolare, compare
già da settimane nella lista degli ebrei stranieri da cacciare.Al
bravo allenatore ungherese non resta che andarsene dall’Italia,
prima in Francia poi in Olanda dove trova rifugio nella cittadina di
Dordrecht, iniziando ad allenare con la consueta passione e
professionalità la locale squadra di calcio.L’Olanda
sembra un porto sicuro e in questa città i Weisz cercano di
riprendere, pur fra mille difficoltà, una vita con una parvenza di
normalità: il piccolo Roberto va a scuola anche se non capisce una
parola, la mamma Elena si dedica alla cura della famiglia e prende
confidenza con i nuovi vicini.Weisz
non pensa di fuggire con la famiglia in Palestina o in America come
hanno fatto altri correligionari. Perché, viene da chiedersi? Non è
certo il solo ad aver creduto che tutto si sarebbe sistemato e forse
anche chi è fuggito mai avrebbe immaginato l’immane tragedia che
si stava abbattendo sul popolo ebraico.Nemmeno
la paura e l’inquietudine che sicuramente albergano negli ultimi
mesi nel suo animo inducono l’allenatore ungherese a prendere la
via dell’esilio.E’
dunque nella piccola dimora di Bethelehemplein 10 road che lo trovano
gli agenti della Gestapo il 2 agosto 1942 quando fanno irruzione per
arrestare la famigliola di ebrei.Il
primo approdo, il campo di smistamento di Westerbork, mimetizzato nel
paesaggio, a undici chilometri di distanza da Assen, è difficile da
scorgere. In questa città fantasma dominio indiscusso di Rauter, un
losco figuro “molto apprezzato da Himmler per la sua efficienza, il
ricambio dei reclusi è sistematico, organizzato, ma sempre senza
dare nell’occhio…è tutto registrato perché la più grande
sciagura nella storia dell’umanità è stata una gigantesca
operazione amministrativa”.“Quei
treni sono l’incubo del campo…l’attesa della prossima lista e
della nuova spedizione è l’elemento che detta la vita di
Westerbork”.E
da qui, proprio il 2 ottobre 1942, compleanno della piccola Clara che
in pochi anni ha dimenticato la spensieratezza e visto frantumarsi il
suo universo infantile, parte un nuovo convoglio diretto ad
Auschwitz. Anche i Weisz sono saliti su uno di quei vagoni che li
porteranno a morire.Il
libro di Matteo Marani, arricchito da preziose fotografie d’epoca
che restituiscono il volto di un uomo “cancellato” dalla Storia,
oltre che da testimonianze commoventi, non è solo un’occasione per
riflettere sul valore imprescindibile della memoria e sul veleno
dell’antisemitismo che, come questa storia ci insegna, può
infiltrarsi anche nel mondo dello sport ma è soprattutto un atto di
“riparazione” nei confronti di una persona che, pur avendo dato
tanto agli altri con la dedizione e l’amore per il suo lavoro, è
stata inspiegabilmente e ingiustamente dimenticata.L’opera
di Marani, molto accurata sia sotto il profilo storiografico che
narrativo, è un libro appassionante che si legge d’un fiato fino
all’ultima pagina e che consiglio non solo agli estimatori del
calcio, ma a tutti coloro che aspirano a tenere viva la fiaccola
della Memoria: per ricordare ma soprattutto per non dimenticare.Giorgia
Greco
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