martedì 29 gennaio 2013
La
neve nell’armadio Enrico Mottinelli
Auschwitz
e la vergogna del mondo Giuntina Euro
12
“Credo
che tutti i sopravvissuti si vergognano per sé, e per chi ha
permesso, per chi è rimasto in silenzio o ha partecipato
all’annientamento di milioni di innocenti nella civile e cristiana
Europa”
Queste
parole così intense, come solo possono essere quelle che
scaturiscono da chi ha conosciuto il Male Assoluto, sono tratte dalla
conversazione che Enrico Mottinelli ha avuto con Edith Bruck,
scrittrice ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, posta in appendice al
saggio “La neve nell’armadio” che la casa editrice Giuntina,
specializzata in testi di argomento ebraico, manda in libreria in
questi giorni.Caporedattore
alla Garzanti, l’autore ha esordito nella narrativa con il romanzo
“Lontano padre” (e/o) e, dopo aver pubblicato nel 2008 “Il
sapore del ferro” (Carte scoperte), approda alla saggistica con
un’opera di pregio.La
neve nell’armadio, il cui titolo richiama il verso di una poesia di
Nelo Risi, marito di Edith Bruck, è un saggio che sin dalle prime
pagine colpisce il lettore per l’alta cifra linguistica e per
l’accuratezza dell’analisi attorno a quell’inspiegabile
sentimento della vergogna che pervade i superstiti della Shoah e che
per tutta la vita alberga nel loro animo.Con
l’ausilio di un ampio corredo di note l’autore riflette sul tema
della vergogna della vittima cioè non di chi ha commesso un atto
riprovevole bensì di chi lo ha subito e da qui estende la sua
riflessione alle vittime di Auschwitz domandandosi quale sia il
significato della loro “vergogna”.Mottinelli
identifica Auschwitz in un’accezione più ampia, preferendolo ad
altri termini quali Shoah o Olocausto perché Auschwitz è il luogo
per eccellenza dello sterminio dove si è compiuto il più grave
scempio da parte di esseri umani nei confronti di altri esseri umani.Una
riflessione limpida e appassionata è quella che l’autore dedica
alla “fatica della testimonianza e dell’incredulità altrui”
tali al punto che “parlare di quell’inferno risulta doppiamente
penoso: per la lividezza dell’orrore impresso nelle carni e
rivissuto ogni volta con lo stesso dolore; e per la diffidenza degli
ascoltatori”.Se
le vere vittime di Auschwitz sono coloro che sono stati gassati nelle
finte docce e poi accatastati come pezzi di legna su altri cadaveri
in attesa di entrare nei forni crematori e i “salvati” sono in
realtà un errore nel ciclo perfetto dello sterminio, fra le prime
non si può non tenere conto dei sopravvissuti che, una volta tornati
a casa, hanno percepito così intenso il tormento della loro
esistenza da preferire il suicidio.E
dunque se l’esperienza di Auschwitz è stata così devastante da
rendere loro insopportabile la vita: “…non è un modo anche
questo di dare la morte?”La
vergogna della vittima dei campi di sterminio cresce inesorabilmente
anche per il senso di colpa che la pervade a posteriori sia per non
aver fatto abbastanza per opporsi all’orrore, sia per aver
accettato senza ribellarsi l’esproprio della dignità pur di avere
salva la vita. A questo stato d’animo va aggiunto il rimorso per la
mancata solidarietà con i compagni.
Nella
seconda parte del libro Mottinelli riflette sulla responsabilità
della memoria che deve passare dai testimoni diretti, ormai sempre
meno per ragioni anagrafiche, a ciascuno di noi che non potrà
esimersi dal dovere di conoscere e tramandare alle future generazioni
l’”eredità” dei sopravvissuti.In
quanto essere umani Auschwitz riguarda tutti noi e “…se chi è
portato a guardare dentro Auschwitz sente il peso
dell’inguardabilità, sente la presenza di un intollerabile,
percepisce il pudore violato dell’essere dell’uomo, coglie un
denudamento che tocca l’intimità dell’essere delle vittime oltre
l’abuso compiuto sui loro corpi, allora costui è una nuova vittima
di Auschwitz e ne diventa perciò un potenziale testimone”.Edith
Bruck non ha dubbi sul valore e la necessità della “testimonianza”
che per lei è “l’adempimento di una promessa, quella fatta ai
sommersi del lager che le chiedevano di non dimenticare, di
raccontare un giorno quello che stava vedendo” benché ogni
racconto rappresenti il tormento di una nuova immersione nell’orrore,
con la consapevolezza che ciò che è più essenziale non si può
dire a parole né capire sino in fondo.Educare
alla memoria è compito delle istituzioni – afferma Edith Bruck –
e bisogna rifuggire dallo “spettacolo” dello sterminio che il 27
gennaio invade gli schermi televisivi perché l’educazione deve
essere costante e dosata.
“La
memoria è importante per qualsiasi cosa. La nostra vita è fatta di
memoria, se perdessimo la memoria la vita non avrebbe più alcun
valore”Fra
le molte proposte editoriali che ogni anno arrivano in libreria per
il giorno della memoria il saggio di Enrico Mottinelli spicca per
l’analisi approfondita di un tema così complesso come quello della
vergogna delle vittime, per l’accurata ricostruzione storica e per
la capacità di penetrare con garbo e sensibilità nel dolore
incommensurabile dei sopravvissuti alla Shoah.Un’opera
preziosa che invita a riflettere sull’eredità del passato e sugli
insegnamenti che da esso possiamo trarne per un futuro di pace e
tolleranza.Giorgia Greco
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