lunedì 14 gennaio 2013
La violenza dell’utopia
Al termine di un dibattito
scolastico su Israele e Palestina svolto (contrariamente ai miei
timori) in modo pacato e amichevole, con interventi intelligenti da
parte degli studenti, arriva l’ultimo discorso che si autoproclama
conciliante, una voce femminile che dichiara di prendere le distanze
dalle discussioni e lacerazioni create dal mondo maschile. Dunque –
dice – basta parlare di Israele e Palestina, di ebrei, cristiani e
musulmani, di due popoli e due stati: viviamo felici e contenti tutti
insieme appassionatamente in un unico stato per tutti. Seguono applausi
scroscianti. Dobbiamo dedurne che la stragrande maggioranza dei
presenti fosse a favore dell’eliminazione di Israele? (È quello che il
discorso proponeva in sostanza, al di là delle parole gentili). Non
credo: le reazioni agli interventi precedenti inducevano a pensare che
se alle stesse persone che hanno applaudito fosse stato chiesto se
secondo loro Israele ha diritto di esistere probabilmente una larga
maggioranza avrebbe risposto affermativamente. Da un lato ci si può
rammaricare per il modo con cui spesso in molti ambiti (e non solo a
proposito di Israele) si celano proposte inquietanti dietro a un velo
ingannevole di pacatezza e ragionevolezza, dall’altro può essere in
parte confortante, quando si leggono gli esiti preoccupanti di sondaggi
e cose simili, pensare che forse chi ha risposto potrebbe non aver
valutato davvero fino in fondo le implicazioni della domanda.È difficile per i ragazzi rendersi conto di quanto l’utopia sappia
essere a volte violenta, con il suo desiderio di sottomettere la realtà
a uno schema prefissato e con il suo programmatico rifiuto di prendere
in considerazione tutti i fatti che a questo schema non si conformano.
È un peccato che questa rigidità intollerante sia rivendicata come
specificità femminile.Anna
Segre, insegnante,http://www.moked.it/
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