venerdì 1 febbraio 2013
Siria, la svolta drammatica di Israele: due blitz aerei contro Assad e i timori sul collasso della regione
Domenica
scorsa Netanyahu l’aveva detto. «Il Medio Oriente non aspetta: o ci
muoviamo o rischiamo di trovarci tonnellate di esplosivo chimico in
casa. A est, a nord, a sud del nostro Paese tutto è in fermento,
dobbiamo prepararci». Quarantotto ore dopo ecco che alle 2 di notte (ora
israeliana, l’1 in Italia) di mercoledì 30 gennaio dodici caccia
dell’Israeli Air Force e un drone radiocomandato decollavano dalle basi
israeliane. Direzione Siria.Il veicolo
radiocomandato è arrivato sopra la città di Al-Zabadani verso le 4,30
del mattino. Qui, in pochi secondi, ha sganciato i suoi missili contro
un convoglio che da Damasco stava viaggiando verso il confine libanese.
L’esplosione è avvenuta a circa 5 chilometri dall’autostrada
Damasco-Beirut. All’interno del mezzo militare munizioni, armi di vario
tipo. Soprattutto sistemi missilistici di fabbricazione russa, a partire
dagli SA-17.«Le
informazioni in nostro possesso spiegavano che i fedeli del dittatore
siriano Assad volevano approfittare del tempo piovoso e nuvoloso per
spostare un carico d’armi verso i depositi di Hezbollah», spiegano da
Gerusalemme. «Ovvio che se gli SA-17 finivano in mano ai miliziani
sciiti questo avrebbe cambiato un bel po’ gli equilibri militari nella
regione». Il timore, ancora da provare, è che all’interno di quel
convoglio ci fossero anche armi chimiche.
Più o meno
alla stessa ora i dodici caccia – dieci velivoli secondo altre fonti –
sorvolavano i cieli sopra il Libano a gruppi di 2-3, passavano sopra
Damasco e una volta a Jamraya, a pochi chilometri dalla capitale,
attaccavano un deposito di munizioni. Nell’edificio, secondo l’agenzia di Stato siriana
– che smentisce qualsiasi attacco a convogli a Al-Zabadani – almeno due
persone avrebbero perso la vita, altre cinque sarebbero ferite in
quello che non chiamano deposito militare, ma «centro di ricerca che
lavorava per rafforzare la resistenza ai ribelli e ai nemici».Israele, in
via ufficiale, almeno fino alle nove di sera (ora italiana) non ha
confermato nessuna delle incursioni. Da Gerusalemme spiegano che il
premier Netanyahu starebbe premendo per un coinvolgimento immediato
dell’amministrazione americana. «Il nostra timore ora è che Teheran
possa vederla come una dichiarazione di guerra all’Iran e si muova di
conseguenza». La situazione, a dire il vero, è – come piace
classificarla agli esperti – «decisamente fluida». Vuol dire che da ora
in avanti nell’area può succedere di tutto. «Oppure, almeno nel breve
periodo, non succedere assolutamente nulla», chiariscono esperti
militari. Che poi si chiedono come abbiano fatto tutti quei caccia del
«nemico» a sorvolare per così tanto tempo – si parla di almeno un paio
d’ore – sulla Siria senza essere colpiti.Quello che è
certo è che la località di Al-Zabadani, dove ha colpito il drone, per
Gerusalemme è diventato un centro nevralgico del passaggio di armi da
Damasco a Beirut. «Da mesi in città c’è un clima di relativa calma»,
spiegano da Gerusalemme. «Pochissima resistenza ad Assad, poche vittime
tra i civili e, soprattutto, cibo che non scarseggia. Dall’anno scorso
il dittatore siriano ha concesso una sorta di indipendenza all’area in
cambio di due cose: nessun gruppo ribelle e lasciapassare ai convogli
militari di Damasco».La località,
secondo gl’israeliani, non sarebbe stata scelta a caso da Assad. «Nelle
stesse zone, prima dell’accordo con il dittatore, passavano le armi
(missili anti-carro, munizioni, mitra, ecc) fornite dagli occidentali ai
ribelli siriani pagate dai Paesi del Consiglio di Cooperazione del
Golfo e, ovviamente, da Washington.Che qualcosa
stava cambiando, in Israele, lo si era capito anche da quel ch’è
successo la scorsa settimana quando l’esercito ha installato due Iron
Dome – il sistema anti-missilistico super-sofisticato – nel Nord, tra
Haifa e il confine con il Libano. «Magari la guerra non arriva domani,
ma dobbiamo essere pronti per ogni scenario», ha spiegato Amir Eshel,
generale delle forze armate israeliane. E nel farlo ha parlato, per la
prima volta, anche dell’Egitto. Il governo Netanyahu, nella riunione di
domenica, ha chiaramente spiegato che «il governo guidato dal presidente
Morsi e dai Fratelli Musulmani non funziona più. Nessuno degli aspetti
chiave del Paese – l’esercito, la sicurezza interna e la polizia – è
ormai sotto il controllo di Morsi».http://falafelcafe.wordpress.com/
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