La sinistra sintassi delle sassate all’ebreo
Di Sherri Mandell,http://www.israele.net/
Ho ritardando la lettura dell’articolo “La sintassi interna dei lanci di
pietre palestinesi”, pubblicato su Ha’aretz da Amira Hass, perché
sapevo che mi avrebbe fatto male.Amira Hass ci dice che lanciare pietre è un diritto naturale e un dovere
per chiunque sia soggetto a dominio straniero. Scrive che per i
palestinesi “lanciare pietre è un’azione, ma anche una metafora della
resistenza”: una figura allegorica che descrive l’assassinio di mio
figlio.Secondo Amira Hass, l’assassinio a pietrate di mio figlio Koby non è
solo un atto, ma una metafora. Il corpo adolescente di Koby è stato
pestato a morte: cos'era, una similitudine o una metafora? Il pestaggio
di un ragazzino a colpi di pietre è un'immagine della crudeltà, o è
crudeltà pura e semplice? E lei, Amira Hass, fa l’apologia
dell’assassinio di mio figlio o è "come se" la facesse?Forse Asher Palmer e suo figlio Jonathan sono stati uccisi per una
sineddoche, la pietra come allegoria del braccio di un intero popolo,
della rabbia palestinese? E la bambina (Adele Biton, 2 anni) che sta
ancora lottando in ospedale fra la vita e la morte perché l’auto di sua
madre è andata a schiantarsi contro un camion a causa delle sassate
arabe, cos'è? Un gesto di resistenza?Mio figlio e il suo amico Yosef, due ragazzini rispettivamente di 13 e
14 anni uccisi a colpi di pietra: un nobile atto di resistenza contro i
loro libri di scuola, i loro panini per la merenda, i loro compiti di
matematica.Capisco quanto deve essere elettrizzante, per lei, scrivere una frase
come quella, nel suo articolo: la sintassi interna del rapporto fra
occupato e occupante. Il lancio di pietre come "un aggettivo applicato
alla resistenza": trasfigurare la morte della propria gente in una
grammatica di intriganti confronti, in una sintassi astuta e sinistra.Come deve essere bello, per lei, sentirsi così virtuosa con la vita di
mio figlio Koby. Giacché, sebbene lei faccia cenno al fatto che i
palestinesi dovrebbero usare altri mezzi di resistenza, lo afferma in
modo così debole e in sordina che in pratica si traduce nell'apologia
dell’assassinio di ebrei innocenti.Scrivendo in questa Giornata della Memoria della Shoà, mi vengono in
mente altri che furono così spietati e indifferenti con la vita di
innocenti ebrei. Sicché, cara Amira Hass, come dovrò chiamarla: complice
o una che è "come" un complice? O dovrò chiamarla fiancheggiatore? O
forse più semplicemente una persona che giustifica l’assassinio di ebrei
innocenti?(Da: Times of Israel, 8.4.13)
Nelle foto in alto: Amira Hass, giornalista israeliana che vive a
Ramallah (Cisgiordania), editorialista di Ha’aretz, tiene fra l’altro
una rubrica fissa sul settimanale italiano “Internazionale”. Sherri
Mandell, autrice di questo articolo, co-direttrice della Fondazione Koby
Mandell che gestisce programmi per famiglie israeliane colpite dal
terrorismo:
http://www.kobymandell.org/
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