Domenica il presidente palestinese Abu Mazen sarà in Cina. Lunedì a
sbarcare a Shanghai sarà invece il primo ministro israeliano Benjamin
Netanyahu. Martedì i due si incroceranno a Pechino, il primo in partenza
il secondo in arrivo.Le visite dei due leader mediorientali non si dovrebbero incrociare.
Se ci dovesse tuttavia essere una richiesta al riguardo, ha spiegato
venerdì un portavoce del ministero degli Esteri cinese,
Pechino si impegnerà a favorirlo. Se i due leader vorranno incontrarsi, ha detto, la Cina “darà il sostegno necessario”.La Repubblica popolare “vuole giocare un ruolo più importante in Medio Oriente”, ha scritto
lo scorso giovedì la versione online del Quotidiano del popolo,
voce ufficiale del Partito comunista. Il presidente palestinese, ha
sottolineato, sarà il primo leader della regione a incontrare la nuova
dirigenza cinese, ufficialmente insediatasi lo scorso marzo. Per
Netanyahu si tratterà invece della prima visita di un leader israeliano
di primo piano oltre Muraglia dal viaggio di Ehud Olmert nel 2007.Ufficialmente la visita del primo ministro israeliano si concentrerà
sugli scambi commerciali, oggi pari a 10 miliardi di dollari, e
sull’economia. Sul tavolo delle discussioni,
secondo quanto riporta il Jerusalem Post,
ci sarà la costruzione di una ferrovia dal porto di Ashdod a Eilat che
dovrebbe favorire l’arrivo delle merci cinesi in Europa senza passare
per Suez.Ma considerati i rapporti cinesi con Teheran, tra i principali
fornitori di petrolio del Dragone, ci sarà occasione di discutere del
controverso
programma
nucleare iraniano, a scopo civile per la Repubblica islamica, con il
fine di arrivare alla bomba secondo Israele, Usa e comunità
internazionale.La contemporanea presenza dei leader israeliano e palestinese su
suolo cinese coincide anche con un nuovo sforzo diplomatico del
segretario di Stato americano, John Kerry, per trovare una soluzione al
conflitto. Lunedì il numero uno della diplomazia Usa e una delegazione
della Lega araba hanno trovato un’intesa per una soluzione che preveda
due Stati secondo i confini del 1967, ma con la possibilità di scambi
minori di terre tra israeliani e palestinesi.Ma ancora ieri la decisione di Google di rinominare il proprio
dominio con estensione “.ps” Palestina e non più Territori palestinesi,
ha ricevuto una dura replica da Israele, sebbene rispecchi il voto dello
scorso novembre all’Assemblea generale dell’Onu che ha riconosciuto la
Palestina “Stato osservatore non membro”.Il coinvolgimento cinese nel processo di pace in stallo può cambiare
le carte in tavola, ha commentato su Twitter Zbigniew Brzezinski. Un
pensiero condiviso anche dal magazine online The Diplomat, secondo cui
la Cina potrebbe prendere il posto della Russia, oggi parte del
Quartetto che comprende anche Onu, Usa ed Unione europea, ma che negli
ultimi due anni si è allontanata dalla Lega Araba per il sostegno al
governo di Bashar al Assad nel conflitto civile siriano.Una posizione in parte condivisa anche da Pechino, che tuttavia ha
mantenuto un profilo più basso. La Repubblica popolare vanta rapporti
decennali con i palestinesi e mantiene contatti con tutte le parti in
causa, Hamas e Iran compresi. Allo stesso tempo, negli ultimi anni ha
coltivato i rapporti con Israele. Il 2012 ha marcato il ventennale delle
relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Lo scorso maggio il capo di
Stato maggiore israeliano, Danny Gantz, è stato ricevuto a Pechino dal
suo omologo cinese Cheng Bingde e nell’agosto successivo i due Paesi
hanno condotto esercitazioni navali congiunte.I temi economici saranno anche al centro degli incontri tra i leader cinesi e Abu Mazen.
In un’intervista all’agenzia Xinhua,
il presidente palestinese ha ammesso le difficoltà finanziare
dell’Autorità nazionale palestinese il cui debito ammonta a 1,4 miliardi
di dollari. Sulla contemporanea presenza di Netanyahu ha spiegato che
in questo modo Pechino avrà l’opportunità di sentire entrambe le parti,
senza dimenticare di esortare i cinesi affinché usino i propri rapporti
con gli israeliani per rimuovere gli ostacoli che bloccano l’economia
palestinese, anche quelli “che bloccano gli investitori cinesi”.
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